Massimo rispetto per Reja Ma ora cambiare si deve

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Come volevasi malauguratamente dimostrare, questa irriconoscibile, inguardabile, inaccettabile Atalanta, ha perso anche all’Olimpico. Contro la Lazio 3, nemmeno la Lazio 2 e, se non fosse stato per le concomitanti sconfitte di Frosinone e Palermo, adesso starebbe peggio di quanto non stia. Sei punti nelle ultime 14 partite, un attacco che non segna mai, una banda del buco che ringalluzzisce anche Klose, a secco in campionato da nove mesi e mezzo e stasera addirittura autore di una doppietta, un centrocampo che batte in testa, senza idee e senza gioco, un allenatore prigioniero dei suoi micidiali errori (ma come si fa a togliere Pinilla e a mettere Borriello che non la vede mai? Come si può tenere ancora una volta in panchina Diamanti, salvo inserirlo quando è troppo tardi?)

Per quanto sopra, ancora una volta e ribadendo il massimo rispetto e la massima stima per Edoardo Reja, veterano degli allenatori di Serie A, reiteriamo la preghiera ad Antonio Percassi: poiché non può cambiare quasi tutti i  giocatori e non può nemmeno tagliare loro gli stipendi, per l’amor di Dio, cambi l’allenatore. Ora o mai più. Ieri sera, prima della nuova legnata, Sartori ha dichiarato che le colpe sono di tutti e tutti devono sentirsi responsabili. Bene. Anzi male. Perché la squadra aveva un modo solo per salvare il tecnico: vincere a Roma e, soprattutto, tirare fuori i coglioni: absit iniuria verbis, ma quando ci vuole, ci vuole.

Ci sono ancora 9 partite e 27 punti a disposizione per evitare la retrocessione che, avanti di questo passo, non è probabile. È sicura. La matematica non è un’opinione: la media delle ultime 14 gare è di 0,42 punti. Moltiplicata per 9 partite fa 3,78 punti. Dispiace per Reja: nel girone d’andata ci aveva illuso e probabilmente era stato illuso da una squadra che a Natale era già convinta di essere salva: masochistico errore di autosopravvalutazione. Anche il Bologna, prossimamente a Bergamo, aveva perso otto delle prime dieci partite. Poi è arrivato Donadoni e la squadra ha suonato tutta un’altra musica. Cambiare non si può. Si deve.

 

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