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La liberazione della Siria è vicina? Usa, Russia e la corsa a Raqqa

La liberazione della Siria è vicina? Usa, Russia e la corsa a Raqqa

Dopo la cacciata da Palmira del Califfo e dei suoi miliziani, è partita la campagna per la riconquista di tutta la Siria. Prima di tutto di Aleppo, e poi di Raqqa, che il califfato ha eretto a sua capitale siriana. Nel complesso scacchiere bellico mediorientale, però, a combattere l’Isis ci sono due opposti schieramenti: da un lato, il presidente siriano Assad, appoggiato dalla Russia di Putin, dall’Iran e dal mondo sciita e, dall’altro, gli americani.

L’accordo tra Mosca e Washington. Due storici nemici, Usa e Russia, si sono avvicinati per creare un piano per la liberazione della Siria: già un mese fa, il ministro degli Esteri russo aveva parlato di un’alleanza, o meglio di un coordinamento delle operazioni dovuto al fatto che la città di Raqqa si trova in quella parte di Siria, a est, dove è attiva la coalizione a guida americana che dal settembre 2014 sta cercando di sconfiggere il sedicente Califfato.

 

 

All’indomani della liberazione di Palmira, era stato annunciato il piano dell’esercito governativo di Damasco, che prevedeva un’offensiva finale per liberare Raqqa nel giro di un mese. Perché questo avvenisse, però, era necessario che Washington desse il suo nulla osta a Mosca per un’azione congiunta. Soprattutto perché nelle intenzioni di Mosca c’era quella di mantenere in vigore il cessate il fuoco e vigilare affinché nessuno violasse la tregua entrata in vigore il 27 marzo. Il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov, nei giorni scorsi, aveva dichiarato che ogni violazione sarebbe stata sicuramente pericolosa per l’instabile e fragile cessate il fuoco, e per questo Mosca stava lavorando con gli Stati Uniti per minimizzare ed eliminare i rischi.

Il nodo Assad. La collaborazione Usa-Russia contro il Califfato significava naturalmente che i meriti della liberazione della Siria sarebbero stati divisi a metà tra la Casa Bianca e il Cremlino. Ma, soprattutto, implicava che gli Stati uniti avrebbero accettato di rivedere la propria posizione nei confronti di Assad, considerato come nemico assoluto fin dai primi vagiti della guerra di Siria. Un nodo non semplice da sciogliere, visto che le elezioni parlamentari indette da Assad, svoltesi sotto la supervisione di una delegazione russa, erano state definite da Washington «né legittime, né rappresentative del popolo siriano».

 

 

La sfida Usa-Russia. Tra le due nazioni, comunque, sembra essere nata una sorta di sfida a chi per prima sconfiggerà i jihadisti e libererà la Siria. E nella battaglia per Raqqa questa specie di gioco delle parti è particolarmente evidente. Come afferma Giordano Stabile su La stampa di domenica, le mosse di Assad e Putin, che stanno agendo in maniera indipendente da Washington e stanno già preparando l’offensiva su Raqqa, non sarebbero gradite da Obama, che starebbe a sua volta accelerando «la marcia dei suoi alleati curdi verso la capitale del Califfato. Come dimostra anche il dispiegamento in Qatar dei bombardieri strategici B-52 e la missione nel Golfo del Segretario alla Difesa Ash Carter che ieri dagli Emirati ha annunciato “un’intensificazione” degli attacchi».

Il piano americano. Il piano della Casa Bianca, stando a quanto riporta il New York Times, prevede lo schieramento di 200 membri delle forze speciali, che andrebbero ad aggiungersi ai 50 già presenti sul campo, per aiuto, addestramento e assistenza ai ribelli siriani. Non si tratta, però, solo di un’intensificazione dell’intervento in Siria, sul tavolo c’è anche l’Iraq, dove l’obiettivo è la liberazione di Mosul, e per cui si vorrebbe prevedere l’impego di elicotteri Apache.

 

 

Il Wall Street Journal, nei giorni scorsi, ha scritto che gli Stati Uniti, in caso di fallimento del cessate il fuoco, sarebbero pronti a mettere in pratica un piano B in Siria, per fornire armi più potenti ai ribelli moderati che si battono contro il regime di Bashar al-Assad, sostenuto dalla Russia; a preparare il piano sarebbero stati la Cia e i suoi partner regionali. Il che rientrerebbe in quella sorta di sfida per potersi fregiare di essere arrivati primi a liberare Raqqa dai jihadisti, contrastando di fatto la Russia.

Isis in fuga. Intanto, da Raqqa arrivano voci che darebbero l’Isis in fuga, o almeno così affermano alcuni attivisti interpellati da Aki-Adnkronos International. In particolare uno di loro sostiene che ci sarebbero in previsione una «possibile ritirata totale dell’Is dalla città» e un «possibile spostamento in direzione dell’Iraq». A Raqqa sarebbero rimasti solo i capi delle milizie, tutti stranieri, «mentre tutti i jihadisti stranieri sono stati allontanati dalla città negli ultimi dieci giorni».