Anche se daspassero tutti i tifosi la Curva Nord non morirebbe mai

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La decisione della Curva Nord di non organizzare l’edizione 2016 della Festa della Dea è un atto di coraggio, di sofferenza e di sfida. Di coraggio e di sofferenza perché soltanto chi conosce che cosa sia l’evento più importante per ogni atalantino sa quanto possa essere costata una simile rinuncia ai ragazzi e alle ragazze che vi lavorano semplicemente perché animati dalla passione e dalla voglia di stare insieme nel nome dell’Atalanta. Di sfida perché, questa rinuncia, è un gesto di solidarietà nei confronti di Galimberti e Palafreni, sottoposti a regime di sorveglianza speciale manco fossero due kamikaze dell’Isis. Di sfida ancor di più, perché è un pugno nello stomaco contro i malpensanti, cioè i benpensanti, ovvero la stessa cosa; contro chi ha criminalizzato un’intera tifoseria trasformandola in un’orda di barbari criminali, da esporre al pubblico ludibrio. Tutto questo è rivoltante come la serie di provvedimenti liberticidi presi da questo Stato fiacco nell’ultimo anno e mezzo, insuperato e insuperabile esempio di accanimento contro la gente atalantina.

Non ce ne hanno risparmiato una, a cominciare dal divieto di trasferta trimestrale per uomini, donne, ragazzi e ragazze nell’ultima stagione, alla chiusura del Baretto dello stadio, proseguendo con i divieti di accesso in Curva se sprovvisti di tessera del tifoso o del famigerato voucher, naturalmente pagato in anticipo, culminati con la fantozziana figuraccia che ha preceduto la gara “ad alto rischio” con il Chievo. In un Paese normale, i responsabili di quel dietrofront burocratico-istituzionale, consumatosi in meno di ventiquattro ore, sarebbero saltati come tappi di bottiglia; ma il nostro, si sa, non è un Paese normale.

La riprova è arrivata a stretto giro di posta e, stavolta, ne hanno fatto le spese gli incolpevoli tifosi del Palermo, che, in occasione della gara con la Samp, sono potuti entrare solo se provvisti della tessera d’abbonamento. Il provvedimento punitivo è stato adottato in segno di rappresaglia per gli incidenti scoppiati a chilometri di distanza dallo stadio prima della gara e per i fumogeni e i petardi lanciati in campo durante la gara: anziché stangare solo e soltanto chi li aveva lanciati, hanno desertificato il Barbera, così hanno fatto prima.

La Festa della Dea che, nella settimana di luglio in cui si celebra, richiama fra le 60mila e le 70mila persone, è diventata durante gli anni un punto di aggregazione e di socializzazione senza paragoni, un luogo teatro di altruismo e solidarietà in una città che, all’Atalanta e ai suoi tifosi, dovrebbe essere soltanto grata anche per l’indotto economico che origina (il club di Percassi, insieme con Juve e Frosinone, è l'unico della Serie A che riempia gli spalti almeno per il 75% dei posti).

Invece, in questi mesi, abbiamo visto danneggiare l’Atalanta e i suoi tifosi senza che si levassero voci in loro difesa. Abbiamo ascoltato le prediche di troppi farisei della Casta locale. Come quei conigli che, in seguito ai tafferugli post Inter, anche questi scoppiati molto lontano dallo stadio, si sono stracciati le vesti, chiedendo punizioni esemplari e ululando "adesso basta".

Basta de che?

Basta bisogna dirlo a questo Stato, incapace di tutelare l’ordine pubblico e di arginare sempre meglio la criminalità, in città e in provincia, lo stesso Stato che sottopaga gli agenti in servizio, magari obbligandoli a fare la scorta a presunti rappresentanti del popolo, indagati, processati e condannati in primo e in secondo grado.

Basta bisogna dirlo a tutti quelli convinti che la mancata organizzazione della Festa della Dea sia una prova di una normalizzazione. Errore grossolano. Anche se daspassero tutti i tifosi della Curva Nord, la Curva Nord non morirebbe mai.

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