Bossetti, il giorno della difesa «Vittima di una tortura giudiziaria»

È iniziata con le oramai abituali lunghe code in via Borfuro la giornata di venerdì 27 maggio al Tribunale di Bergamo. È infatti il giorno dell'attesa arringa dei legali di Massimo Bossetti, l'uomo accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio. Dopo che a parlare alla Corte d'Assise sono stati il pm (in ben due udienze per un totale di circa 12 ore di requisitoria) e gli avvocati delle parti civili (che hanno chiesto un risarcimento danni pari a 3,2 milioni di euro per la famiglia Gambirasio), ora è il turno della difesa. Obiettivo: dimostrare l'infondatezza delle accuse ed evitare che la Corte, presieduta dal giudice Antonella Bertoja, approvi la richiesta di condanna avanzata dal pm Letizia Ruggeri, ovvero ergastolo e 6 mesi di isolamento.
Salvagni: «Un processo con troppe anomalie». Tutti si aspettavano che in aula ci sarebbe stata Ester Arzuffi, la madre 67enne dell'imputato che aveva chiesto il via libera per assistere all'udienza. Invece, un po' a sorpresa, è stata Marita Comi, moglie di Bossetti, ad arrivare in tribunale con il criminologo e consulente di parte Ezio Denti a bordo di una Porsche Panamera. Della Arzuffi, invece, neppure l'ombra. Il motivo lo spiega l'avvocato della donna, Benedetto Maria Bonomo: la 67enne è purtroppo indisposta. La Comi ha dunque ascoltato la lunga e coinvolgente arringa di Claudio Salvagni, avvocato del marito. Il legale della difesa ha più volte sottolineato come, nel processo, non siano venute a galla prove tali da giustificare una sentenza di condanna. E ha soprattutto criticato a più riprese l'operato della Procura. «Noi stessi, con i consulenti, ci siamo detti “dobbiamo essere convinti che Massimo non sia l’assassino” - ha spiegato in apertura di discorso Salvagni -. Io ho ragionato da padre, perché prima di essere un avvocato sono un padre. Qui si parla di ergastolo, per cui se i pezzi di un puzzle non si incastrano tutti perfettamente non si può spingere per fare in modo che si incastrino in modo forzato». A suo parere, infatti, in questo processo ci sono troppe «anomalie, suggestioni, elementi distorti. Sul Dna c’è un paradosso giuridico: l’imputato non ha potuto partecipare agli esami e ha solo potuto prendere atto dei risultati ottenuti da altri. E invece sul Dna, l’elemento su cui si può dare un ergastolo, tutto deve essere perfetto, ma non lo è».
«L'accusa ci ha tirato dei colpi bassi». Salvagni ritiene che il suo assistito sia stato dipinto come un mostro principalmente con l'intento di influenzare il pubblico. L'avvocato non ha avuto timore a usare la parola «tortura» in relazione alla vicenda giudiziaria di cui, a suo parere, è vittima il muratore di Mapello e ha poi elencato quelli che, a suo avviso, sono stati dei veri e propri «colpi bassi» da parte di Procura e degli inquirenti. L'ultimo tra questi è stata l’acquisizione delle lettere dal contenuto decisamente personale («scabrose» le aveva definite il pm) tra Bossetti e una detenuta. Ma anche il video di un furgone, per l’accusa quello di Bossetti, che fu diffuso alla stampa: «Si è trattato di un video confezionato come un pacchetto dono, per tranquillizzare la gente, per avere il mostro, il pedofilo, il mentitore seriale». Salvagni ha anche criticato fortemente il modo in cui l'accusa ha dipinto Bossetti. A suo parere è «assurdo» tratteggiare l'imputato come un pervertito, un uomo ossessionato dal sesso, perché «la sua vita è stata passata al setaccio e non è stato trovato nulla. La sua vita è casa, lavora e famiglia». L'avvocato ha poi aggiunto: «Molti uomini hanno l’attitudini a essere a essere dei "provoloni", come si dice, ma questo non fa di loro degli assassini. Gli sono state attribuite delle amanti, ma dove sono queste amanti? La sua vita è appunto casa, lavoro e famiglia, questi sono i dati concreti, non congetture».
«Le indagini non sono state ben condotte». L’avvocato ha poi duramente attaccato il modo in cui sono state condotte le indagini e la «stampa appiattita» sulle tesi dell’accusa. Per il legale, ad esempio, «il punto più basso, poi, l’ha toccato il colonnello del Ros Michele Lorusso, quando è venuto a dire che la vittima aveva in mano fili d’erba radicati nel terreno, potendolo provare con delle foto. Non c’erano le foto e i fili d’erba erano staccati dal terreno». In relazione a questa deposizione, Salvagni ha parlato di «atto gravissimo. È un falso: non è possibile trasferire alla Corte qualcosa come indiscutibile quando invece non era vero». Salvagni ha poi concluso la sua arringa affermando che «questa difesa non ha mai potuto interloquire» e che, pertanto, non le si può chiedere un «atto di fede sul lavoro fatto da altri». Parlando alla Corte, ha chiuso dicendo: «Non avete giurato su un libro di biologia ma sulla Costituzione».
Parola a Camporini. Dopo la pausa per pranzo, è stato il collega di Salvagni, Paolo Camporini a prendere la parola. Nel pomeriggio del 27 maggio, davanti alla Corte d'Assise e a un folto pubblico, l'avvocato ha proseguito l’arringa difensiva descrivendo Bossetti per come l'ha conosciuto lui in questi mesi di rapporto, una persona ben lontana da quella dipinta dall'accusa e, spesso, anche da certa stampa: «Mai una parola fuori posto, non ha mai covato vendetta nei confronti di chi lo sta accusando da anni. Massimo Bossetti è più preoccupato per la sua famiglia che per se stesso, perché è convinto della sua innocenza ed è sempre stato convinto che il giudice avrebbe capito che è estraneo ai fatti». In particolare l'avvocato ha voluto ripercorrere le dichiarazioni di Bossetti circa la tragica sera del 26 novembre 2010, ovvero quella della scomparsa di Yara. L'imputato ha sempre dichiarato di non ricordare cosa abbia fatto quel giorno, ma ha ipotizzato di essere passato dal suo commercialista e dal meccanico, entrambi a Brembate Sopra. I due, però, hanno negato. Al riguardo Camporini ha detto: «Forse nessuno ricorda di averlo visto, ma certamente nessuno l’ha mai visto altrove», sottolineando come manchino prove concrete circa la presenza di Bossetti nei dintorni della palestra da cui è sparita la 13enne il 26 novembre di sei anni fa.
Camporini, a supporto di questa tesi, ha anche sostenuto che la sincronizzazione delle telecamere che avrebbero ripreso il furgoncino di Bossetti nei pressi della zona della scomparsa di Yara è stata fatta in modo approssimativo. Secondo le testimonianze raccolte dal pool difensivo, infatti, l’orario delle telecamere sarebbe avanti di una dozzina di minuti, quindi il passaggio del furgone dell’imputato sarebbe avvenuto prima dell’uscita di Yara dalla palestra.
Le lacrime di Bossetti. L'avvocato ha poi sottolineato come il suo assistito sia ben lontana dall'immagine che l'accusa ha dato di lui in questo anno di processo. Camporini, in particolare, ha sottolineato l'attaccamento di Bossetti alla sua famiglia e ai suoi figli in particolare, che non vedono l'ora di poterlo riabbracciare. L'imputato è stato descritto come un uomo mite, sempre in cerca di consenso e inserito in un rapporto di coppia in cui il ruolo della moglie è dominante. Quando l'avvocato ha parlato della famiglia di Bossetti e del suo rapporto con i figli e la moglie, l'imputato è scoppiato a piangere in silenzio.
Sentenza l'1 luglio. L'udienza si è chiusa soltanto nel tardo pomeriggio e la Corte d'Assise ha fissato il 10 giugno la successiva. In essa parlerà ancora la difesa, che proprio come l'accusa avrà quindi un'altra udienza a disposizione per concludere la propria arringa. Il 17 giugno, invece, sono previste le repliche delle parti. Queste saranno gli ultimi atti di un processo iniziato ufficialmente il 3 luglio 2015. La Corte d'Assise ha anche dato la prima data in cui potrebbe arrivare la sentenza di primo grado: 1 luglio.