La leggenda della farfalla e dell'ape In morte di Alì, il più grande di tutti

Muhammad Ali, il più grande pugile di tutti i tempi, è morto nella notte fra venerdì e sabato all’età di 74 anni. Da trent’anni combatteva contro il morbo di Parkinson. Campione del mondo dei pesi massimi e oro olimpico a Roma nel 1960, è stato una leggenda, un atleta e un uomo che è entrato di prepotenza nella storia, non solo sportiva, del Novecento. Lo raccontiamo saltellando da una frase all’altra come faceva lui sul ring «danzando come una farfalla e pungendo come un’ape». In corsivo alcune delle sue frasi più celebri.

 

 

Nato il 17 gennaio 1942 a Louisville (Kentucky), Cassius Marcellus Clay Jr. aveva cambiato il nome in Mohammed Ali quando si era convertito all’Islam. Suo padre dipingeva insegne e murales religiosi, mentre sua madre era una cuoca. 

«Cassius Clay è un nome da schiavo. Io non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Muhammad Ali, un nome libero. Vuol dire amato da Dio. Voglio che la gente lo usi quando mi parla e parla di me».

 

Cresciuto nel sud dell’America dei pregiudizi razziali e della discriminazione, a dodici anni gli rubarono la bici da 60 dollari e ai poliziotti disse che voleva picchiare il ladro. Quel ragazzotto arrabbiato colpì l’agente Joe Martin, allenatore di pugili, che lo invitò alla scuola locale di boxe. Fu un crescendo di successi. Clay riusciva ad accompagnare alla figura imponete (era alto 1,91), la velocità e la leggerezza della danza. Velocissimo di gambe e di braccia, e grande incassatore, sfiancava l'avversario prima di sferrargli il colpo del k.o.

«Odiavo ogni minuto di allenamento, ma mi dicevo sempre: “Non smettere. Soffri ora e vivrai tutta la vita da campione”».

 

 

Il debutto sulla scena mondiale avvenne alle Olimpiadi di Roma nel 1960 dove conquistò l’oro per i pesi massimi. Quattro anni dopo venne incoronato campione mondiale professionista battendo Sonny Liston. L'incontro divenne famoso per il "pugno fantasma" di Alì, che mandò al tappeto l'avversario dopo un minuto e pochi secondi. «È troppo brutto per essere un campione del mondo. Un campione del mondo dovrebbe essere bello come me», aveva gridato provocatoriamente ai microfoni prima di salire sul ring.

«Sono il re del mondo, sono carino, sono cattivo. Ho scosso il mondo, ho scosso il mondo, ho scosso il mondo!».

 

 

Nel 1967 Alì fu chiamato nell’esercito per andare a combattere in Vietnam ma rifiutò di arruolarsi adducendo il suo credo religioso e la sua opposizione alla guerra: venne arrestato, privato del titolo mondiale e della licenza di pugile. Per tre anni, sette mesi e quattro giorni non potè più salire su un ring. Su Twitter il promoter Don King lo ha celebrato così: «Alì si alzò in piedi per ciò in cui credeva e quando è stato messo alla prova ha preferito rimetterci personalmente piuttosto che andare contro le sue convinzioni».

«Non ho mai litigato con questi Vietcong. Non mi hanno mai chiamato negro. I veri nemici della mia gente sono qui».

 

 

Il più grande avversario di Cassius Clay è stato il "picchiatore lento" Joe Frazier, che lo sconfisse nel marzo del 71 al Madison Square Garden di New York dopo 15 durissimi round. Frazier fu il primo pugile a sconfiggere Ali. L’incontro è considerato uno dei più avvincenti della storia della boxe ed è stato definito l’Incontro del Secolo. Ai due pugili andò una borsa mai vista per l’epoca: 2,5 milioni di dollari per ciascuno.

 

 

Il match più importante della carriera di Alì fu il “combattimento della giungla” a Kinshasa (nell’ex Zaire) contro George Foreman. Era il 30 ottobre 1974. Alì mise k.o. l’avversario all’ottavo round e recuperò il titolo mondiale dei pesi massimi. «Ali Bomaye!», «Ali uccidilo!», gridava il pubblico. Quel coro diventò anche una canzone popolare. Fu in questa occasione, soprattutto, che Alì adottò la strategia del rope-a-dope. Anziché attaccare l'avversario, si lasciò colpire appoggiato alle corde, che in parte assorbivano i colpi, continuando a incitare e provocare Foreman. E quando questi era esausto Alì lo attaccava con una scarica di colpi al volto.

«L’ho detto a tutti quelli che mi criticano che sono il più grande di tutti i tempi... Non datemi perdente fino a che non ho 50 anni».

 

 

Un anno dopo quella notte che cambiò la storia della boxe, Alì tornò a sconfiggere il suo acerrimo rivale, Joe Frazier.

«Una parte di me se n’è andata via, la parte più grande. Io, Ali e Frazier eravamo una sola persona». (George Foreman)

 

 

Alì si ritira dal ring nel 1981 con un record di 56 vittorie (37 per k.o.) e cinque sconfitte (una sola per k.o.); e tre titoli mondiali dal ’64 al ’67, dal ’74 al ’78 e poi per un’ultima breve parentesi nel ’78, quando viene incoronato migliore sportivo del XX secolo.

«È difficile essere umili quando si è grandi come me».

 

 

Muhammad Ali dedicò il resto della sua vita alla filantropia con al suo fianco la quarta moglie, Lonnie Williams, sposata nel 1986 con la quale aveva adottato un figlio. Ali aveva anche altre due figlie, avute da altre relazioni. «Mettersi al servizio degli altri è il prezzo che paghi per la tua stanza sul pianeta Terra», diceva. Si dedicò alla raccolta di fondi per l’Ali Parkinson Center Mahoma a Phoenix, Arizona. Nel 1998 viene nominato Messaggero di Pace dalle Nazioni Unite per il suo lavoro nei Paesi in via di sviluppo.

«La gente dice che parlo lentamente oggi. Sai che sorpresa. Mi sono beccato 29mila pugni in faccia. Ma ho guadagnato 57 milioni di dollari e ne ho risparmiati la metà. Di pugni forti ne ho presi pochi. Sai quante persone di colore vengono uccise al giorno d’oggi da colpi di pistola o da coltellate senza incassare una dollaro. Magari parlo lentamente, ma la mia testa è a posto».

 

 

Alì è una leggenda unica dentro il mondo dello sport, accettato da tutti come il vincitore della battaglia dell’uguaglianza dei diritti. È l’America che ogni volta sa rinnovare se stessa. Il presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha commentato così la sua scomparsa: «Muhammad Ali ha scosso il mondo. E per questo il mondo adesso è migliore. Siamo tutti migliori».

«Le mie sofferenze fisiche sono state ripagate da quello che sono riuscito ad ottenere nella vita. Un uomo che non è coraggioso abbastanza da assumersi dei rischi, non otterrà mai niente».

 

 

«Grazie a Muhammad Alì. Eri un campione in tutto… Hai “lottato” bene. Riposa in pace», ha scritto Bernice King, figlia di Martin Luther King.