L'imprenditore che era felice nel dare lavoro agli ultimi
Per portarselo via il destino ha scelto un lunedì, aspettando che rientrasse dopo il weekend nella sua fabbrica. Roberto Bottacini, fondatore della Pneumax di Lurano, è morto a 78 anni la mattina del 6 giugno intorno alle 8 mentre ispezionava macchinari e uffici. Era un grande imprenditore. Lo dicono i numeri e il successo internazionale della sua azienda. Ma definirlo solamente così sarebbe riduttivo, perché Bottacini era soprattutto un imprenditore di grande umanità. «Una bravissima persona sempre disponibile ad aiutare gli altri», testimonia un dipendente che è stato al suo fianco per 40 anni. Quarant'anni, come quelli che l’azienda si preparava a celebrare il 18 di giugno.
Nato a Brugherio ma bergamasco d’adozione, Roberto Bottacini era partito nel 1976 da una piccola officina a Lurano. Quel garage («una volta era tutto più semplice, adesso l’Asl ne imporrebbe la chiusura immediata», disse in un'intervista) col passare del tempo è diventato un’azienda leader a livello internazionale nella costruzione di componenti e apparecchiature per l’automazione ad aria compressa. Un'avventura entusiasmante seguendo una massima di John F. Kennedy: «Di fronte al cambiamento la maggior parte degli uomini si chiede perchè. Io mi domando: perchè no?». Bottacini ha portato la Pneumax ad avere oltre 360 dipendenti, filiali e uffici di rappresentanza in tutto il mondo e, proprio il mese scorso, aveva annunciato l’apertura di due succursali negli Stati Uniti e la costruzione di un nuovo capannone da 11 mila metri quadri a Lurano, con l’ammodernamento del parco macchinari. Il Gruppo è presente anche in India, Cina, Singapore e Brasile. Nel 2015 il fatturato, costantemente in crescita, ha superato i 56 milioni di euro.
La Pneumax, eccellenza bergamasca diventata portabandiera del Made in Italy, è modellata sulla personalità del suo fondatore: innovativa, attenta al cliente, capace di anticipare i tempi. Famosa per la qualità dei suoi prodotti ma altrettanto per il forte spirito di appartenenza che vive chi lavora al suo interno, un orgoglio rafforzato da iniziative originali come la festa dei dipendenti e delle loro famiglie che si tiene ogni anno prima della chiusura estiva. In tale occasione vengono estratti dei buoni in denaro per permettere a qualche fortunato di godersi le ferie gratis. Non solo. Il cavalier Bottacini ha sempre puntato anche sulla forza del territorio, rifiutando ad esempio le delocalizzazioni, e al territorio ha restituito con rara generosità. Lurano era diventato il suo paese. Saputo che lì aveva sede una delle comunità di don Fausto Resmini, il prete bergamasco degli ultimi, un giorno volle incontrarlo. Poche parole che diedero il là a una storia: «Guardi – disse l'imprenditore al sacerdote – se lei ha bisogno io ci sono».
«Da allora Bottacini c’è sempre stato – ricorda don Fausto -, con la sua umanità e la sua sensibilità verso i problemi della gente. Si preoccupava soprattutto di chi fa più fatica, ex detenuti e persone cadute in dipendenze di vario genere. E tutto questo senza mettersi in mostra, senza cercare pubblicità. Offriva lavoro e si informava su ognuno di loro. Questo è stato il suo modo di essere. Ed era un imprenditore anche nella solidarietà: preferiva infatti offrire una chance di riscatto attraverso un impiego piuttosto che limitarsi al sostegno economico. Per lui era una questione di dignità della persona. Col lavoro dava a quanti fanno più fatica la possibilità di non vivere di elemosina e di ricostruirsi una vita normale. È stato un uomo coraggioso anche nel fare queste scelte».
Bottacini e don Fausto hanno camminato a lungo insieme: «Quando abbiamo inaugurato il posto caldo alla stazione lui c’era, si era tenuto in disparte, ma quella sera era visibilmente contento: si è sentito protagonista di questo umile servizio ai poveri. Faceva tutto questo grazie alla sua formazione cristiana, capace di unire in modo esemplare fede e opere. Mi chiese anche di incontrare il cardinal Capovilla e con lui parlò a lungo delle persone che si trovano nella necessità, di ragazzi e adulti portatori di fragilità».
Il cavalier Bottacini non amava i riflettori e neppure i titoli e le onorificenze. Alla fine dell’anno scorso aveva fatto scalpore il suo rifiuto della “benemerenza del lavoro e del progresso economico” che la Camera di Commercio di Bergamo voleva attribuirgli. Informato della «nomination», l'imprenditore aveva risposto con un cordiale «No, grazie», lasciando di stucco il presidente Malvestiti, che mai prima di allora si era sentito rifiutare l’ambìto riconoscimento. Niente di personale, ovviamente. Bottacini aveva motivato la sua scelta spiegando che «essendo stata la benemerenza proposta da Confindustria Bergamo, ed essendo io, fin dalla primavera scorsa, dimissionario con la mia azienda da questa associazione, ho ritenuto incoerente accettare a queste condizioni». Per essere precisi fino in fondo, Bottacini specificò che «il problema non è neanche Confindustria Bergamo, ma le politiche economiche di Confindustria nazionale: diciamo che non mi sento più rappresentato da loro. Io ho altre idee: ho cercato di confrontarmi, ma non ho trovato ascolto. Pazienza».
Sarebbe bello oggi sapere quali fossero queste idee. Alcune, ben chiare, le aveva espresse in un’intervista al Corriere della Sera nella quale ragionava di banche. «Hanno una ragione e tre torti», diceva. «Il fatto è che le banche hanno cambiato mestiere, si sono dedicate alla finanza speculativa, utilizzando i soldi dei risparmiatori. Hanno perso milioni di euro e avendo rischiato troppo, non si arrischiano a prestare 200mila euro a un’azienda che ha bisogno». A L'Eco di Bergamo aveva poi in parte già anticipato che cosa avrebbe voluto dire nella festa del 40° anniversario della Pneumax. «Lanceremo un segnale che, pur nel periodo di difficoltà economica in cui ci troviamo, ci sono realtà industriali come la nostra che continuano a progredire. Il territorio dove ci troviamo da agricolo è diventato uno dei più industrializzati della nostra provincia».
Il territorio, appunto: uno dei punti fermi della sua visione imprenditoriale. Un caposaldo che le figlie Rossella e Monica hanno voluto confermare nel comunicato col quale il sito della Pneumax ha annunciato la scomparsa dell'imprenditore. «Forti degli insegnamenti profusi, dei valori trasmessi e con sentimenti di “unità” condivisa», le figlie di Bottacini hanno scritto di voler proseguire «le attività di sviluppo ed espansione già in corso mantenendo, al tempo stesso, lo stretto legame con la comunità locale».
Ieri don Resmini ha voluto salutare così l’imprenditore amico: «Io ho e avrò un bellissimo ricordo di quest’uomo. La sua scomparsa mi ha impressionato tantissimo, è una notizia che non mi aspettavo e mi ha amareggiato profondamente. Viene a mancare un modo di fare l’imprenditore che non guardava solo alla crescita dell’azienda e al miglioramento del prodotto, ma teneva conto di tutto l’umano, della vita concreta dei lavoratori e di quanti oggi all’interno della società chiedono di avere uno spazio, un posto, una considerazione».