Con la scena di Zeffirelli

I volti delle donne iraniane che guardano Romeo e Giulietta

I volti delle donne iraniane che guardano Romeo e Giulietta
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Abbas Kiarostami se n’è andato per sempre qualche giorno fa, il 4 luglio, a 76 anni. Nato a Teheran e morto a Parigi, nella vita era stato regista, sceneggiatore, montatore, poeta, fotografo, pittore e scultore.  Per ricordare la grazia della sua arte riscopriamo un piccolo diamante che ha regalato al mondo. L’intuizione di quelli che sanno cosa val la pena soffermarsi a guardare.

Nel 2007, Kiarostami realizzò Where is my Romeo? (Dov’è il mio Romeo?). È una clip che trovò la sua collocazione nell’antologia Chacun son Cinéma, una raccolta organizzata dal 60esimo Festival di Cannes, in cui 36 registi da tutto il mondo erano stati invitati a realizzare dei cortometraggi di meno di tre minuti sul tema: quali sono i tuoi sentimenti rispetto al cinema.

 

La scena di Romeo e Giulietta, Zeffirelli.

 

Kiarostami dà vita a una ripresa semplice e commovente. In un cinema gremito viene proiettata la tragica scena finale di Romeo e Giulietta di Zeffirelli. Romeo, convinto che la sua amata sia morta, si è ucciso ai piedi della sua salma, nella cripta di famiglia. Ma Giulietta è solo addormentata per via di un’erba medicamentosa che le ha concesso così di non doversi sposare con il Conte Paride. Lei si sveglia e lo vede lì, suicida per amore. Allora prende il pugnale di lui e si toglie la vita. Queste sue ultime parole («Pugnale benedetto…») e il solenne lamento successivo delle guardie sono la precisa scena in questione.

Kiarostami non ha fatto altro che riprendere i volti delle donne iraniane in sala. Un’idea, questa, destinata a ritornare nel suo successivo Shirin. Si commuovono, queste donne, aprono piano la bocca, si coprono la bocca con le mani, sono turbate, piangono. Piangono di lacrime silenziose e discrete, quel tipo di lacrime che corre come una piccola scintilla solitaria giù per una guancia soltanto. Sono attrici, forse, queste donne, ma poco importa. La bellezza rimane intatta. In una delicata indagine che si focalizza sul difficile confine finzione-emozione, percezione-realtà. Ma anche, situazione pubblica ed emozione intima. In quella strana scatola che è il cinema, in cui tutti insieme si sta, da soli, davanti a una storia. E, da soli ma insieme, da soli ma dalla stessa cosa, si viene toccati.

 

Where is my Romeo, Kiarostami.

 

Le donne che piangono al cinema (pensate ai film in bianco e nero coi bei volti delle dive anni Cinquanta) sono un cliché che serve a dipingerle fragili, facili alla commozione, dolci in modo un po’ troppo sentimentale, sempre un po’ troppo stucchevole. Ma questi sono volti semplici, grezzi, velati, iraniani. E stanno, con il loro dolore quotidiano, con le loro lotte dure di ogni giorno, davanti all’inconfutabile e straziante grazia di una tragedia. Scrive il regista e autore Robert W. Gray: «Questo cortometraggio non è una semplice rassegna di emozioni e non può essere accantonato come una rilettura dei pianti femminili. Guardare Where is my Romeo? è testimoniare la comunione delle vite sentimentali e spirituali private di un pubblico in sala, che ci accompagnano in un punto diverso da noi le credevamo posate. E ancora – come il cinema – continuano a muoverci in posti incerti, sospesi tra arte e vita, illusione e realtà».

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