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I giovani italiani se ne vanno in Cina che è diventata la nuova El Dorado

I giovani italiani se ne vanno in Cina che è diventata la nuova El Dorado
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«Due milioni e trecentomila Millennials, i giovani di 18-34 anni, svolgono un lavoro di livello più basso rispetto alla propria qualifica (sono il 46,7% di quelli che lavorano, rispetto al 21,3% dei Baby Boomers di 35-64 anni). Un milione di Millennials ha cambiato almeno due lavori nel corso dell'anno, 1,2 milioni dichiarano di aver lavorato in nero negli ultimi dodici mesi, 1,8 milioni hanno svolto lavoretti pur di guadagnare qualcosa, 1,7 milioni nell'ultimo anno hanno lavorato con contratti di durata inferiore a un mese, 4,4 milioni hanno fatto stage non retribuiti. Pur di entrare nel mondo del lavoro e "stare in partita" tanti Millennials si accontentano di impieghi lontani dal loro percorso di formazione, anche in nero».

 

 

Il futuro per i giovani italiani: angoscia. È quanto emerge da una ricerca realizzata dalle Acli e dalla Cisl che fotografa la condizione lavorativa dei giovani. Uno scenario sconfortante che ribalta anche tutti i preconcetti: se ieri erano visti come bamboccioni, perché non accettavano un lavoro senza che gli fosse steso il tappeto rosso all’ingresso, preferendo stare sul divano di mamma, oggi invece sono arrendevoli, perché, come racconta la ricerca, due terzi di loro sarebbero disposti a rinunciare a ogni tutela pur di lavorare. Alla domanda «Quale sentimento associ al futuro?», gli intervistati, un campione di 1000 ragazzi tra i 16 e i 29 anni residenti a Roma e provincia, hanno risposto confusione (36%), precarietà (26,6%) angoscia (26,3%).

I ragazzi italiani emigrano in Cina. E allora, se l'Italia si ostina ad essere un Paese per vecchi, tra i giovani c'è chi tira sorprendenti conclusioni: la Cina ha reso noto che il numero di ragazzi italiani che chiedono di poter andare a studiare a Pechino per darsi un futuro sono sempre di più. Quest'anno il loro numero ha addirittura superato quello dei ragazzi che vanno negli Usa per lo stesso motivo: la Cina è diventato così il primo Paese extraeuropeo in quanto ad attrattività, per i giovani italiani.

 

 

E non solo gli italiani. La crescita è costante, come ha reso noto l'ambasciata della Repubblica popolare in Italia: cinque anni fa erano 3516, oggi hanno superato quota 5600. Del resto, non sono solo gli italiani a vedere nella Cina un terreno che garantisce il futuro: sempre secondo i dati resi noti da Pechino, nell'ultimo decennio il numero di studenti internazionali in Cina (la maggioranza arriva dall’Asia, seguono Europa e Africa) cresce al ritmo di un +10%, seppure con un rallentamento negli ultimi due anni. Nel 2015 - calcola il ministero dell’Istruzione cinese - erano 397.635 (e un milione circa i cinesi che hanno fatto il viaggio inverso). Terza destinazione universitaria globale dopo Usa e Regno Unito, la Cina, con l’obiettivo fissato di 500 mila presenze nel 2020.

 

 

Perché proprio in Cina. Giovanni Adornino, docente di Relazione internazionali dell'Asia Orientale a Torino, ha spiegato alla Stampa le ragioni di questo fenomeno. In Cina ci sarà sempre più domanda di Italia ha spiegato, e questi ragazzi si mettono in pole position. «Si candidano ad essere attori importanti per le prossime generazioni, soprattutto in settori come architettura e tecnologia», ha spiegato. «Se si guarda al mondo del lavoro, la Cina è fra i Paesi che offrono più opportunità: è un pezzo importante del futuro e i ragazzi vogliono parteciparvi».

A tutto questo bisogna aggiungere che la Cina paga 40mila borse di studio agli studenti stranieri ogni anno. E anche se la qualità degli atenei della Repubblica Popolare non compare nelle classifiche globali, certamente questi offrono più prospettive di tante università occidentali. Tutti buoni motivi per alzarsi dal divano di casa. E prendersi una rivincita contro questo Paese per vecchi che non ne vuole sapere di mettere un po' di risorse e di progetti sui suoi giovani.