Racconto di una commessa

Parcheggi da urlo al supermarket (Tipologie umane da evitare)

Parcheggi da urlo al supermarket (Tipologie umane da evitare)
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Uno dei maggiori pregi del centro commerciale, si sa, è di poter parcheggiare comodamente e gratuitamente per tutto il tempo che serve. È risaputo infatti che, se paragonato al caos del centro cittadino, al costo dei parcheggi a pagamento, all’eventualità di fastidiose multe, il parcheggio del centro commerciale è una pacchia anche se ci troviamo a parcheggiare un po’ distanti dall’ingresso più vicino. No? E invece ecco che la razza umana mi stupisce di nuovo. Come commessa ovviamente mi dovevo recare al centro commerciale nei più svariati orari della giornata, e potevo osservare l’interessantissimo comportamento predatorio della specie di cui vi parlerò oggi: il cliente alla guida.

 

 

L’uomo in carriera con il Suv. Arrivando al lavoro di mattina, a negozio appena aperto, i parcheggi di solito sono quasi tutti liberi, perciò posiziono la macchina vicino all’ingresso più comodo per me. Attorno ci sono quattro chilometri quadrati di parcheggi vuoti, la densità media di macchine è di una panda ogni cinque posti. Ma ecco che puntualmente arriva lui, l’uomo in carriera con il suv, che deve parcheggiare esattamente di fianco a te, proprio mentre tu stai aprendo la portiera per scendere. Tronfio nella possanza del suo autocarro, ti guarda, di solito da sopra gli occhiali da sole indossati anche quando diluvia, e non ha intenzione di lasciarti scendere prima di parcheggiare. Lui ha fretta, ha da fare, tu non puoi capire. E deve parcheggiare proprio lì, per andare a salvare il mondo insieme a James Bond al bar della galleria. E così posteggia e ti incastra dentro l’auto, perché ovviamente i parcheggi dei centri commerciali sono a misura d’uomo, non di astronave. Tu a questo punto, che a differenza di lui e James Bond devi timbrare il cartellino fra cinque minuti, provi a scendere infilandoti nella fessura rimasta tra il Titanic e la tua auto. Ovviamente la sua preoccupazione è che tu non sfiori la sua macchina con la tua portiera, quindi resta ad osservare da dietro il vetro oscurato il tuo contorsionismo. Poi finalmente tu scendi dall’auto, e ti rendi conto nuovamente che attorno al suv e alla tua macchina ci sono almeno venti parcheggi liberi. A quel punto puoi solo sperare che di fianco all’astronave si metta lui, il secondo parcheggiatore del nostro bestiario.

 

 

Il vecchio col cappello. Il vecchio col cappello lo senti arrivare da lontano perché di solito la sua auto viaggia in seconda costante con il motore a ottomila giri che urla la sua agonia. Se lo conosci, ti sposti. Egli punta il suo parcheggio da lontano, e alla stregua del figo col suv, non c’è nulla al mondo che lo possa far frenare una volta che ha scelto di mettersi lì. Tende a occupare i posteggi vuoti nelle file già piene, ma lui non lo fa per sfregio, no. Lui può solo obbedire allo stesso ordine cosmico che gli impedisce di cambiare marcia prima dell’ebollizione del radiatore. Amen. E così iniziano le grandi manovre, che a confronto i trasporti eccezionali sono cosa da nulla. Prima si infila in tutta fretta, per marcare il territorio caso mai qualcun altro nel parcheggio deserto voglia mettersi proprio lì, ma è entrato storto. Allora, grattando rigorosamente il cambio, inserisce la retro e ci riprova; bene, questa volta sembra dritto. Ma a questo punto, per chiunque osservi le manovre si apre tutta la solita serie di interrogativi sulla mente umana. Continua infatti a inserire retro e prima con grande cordoglio della sua frizione, per spostarsi millimetricamente avanti a destra o indietro a sinistra e concludere la sua corsa contro il muretto davanti, quando la sua auto lo manda a quel paese e si spegne. Di solito a questo punto, chi è stato vittima dell’uomo col suv, può sfregarsi le mani, perché il vecchio col cappello ha quasi sempre una moglie seduta al suo fianco, che puntualmente apre la portiera con la stessa grazia con cui lui inserisce la retro. Giustizia è fatta: la signora si fa spazio affossando la carrozzeria del lucente transatlantico. Dio esiste.

 

 

La moglie con la Jeep. Siccome sull’arca di Noè gli animali vanno sempre in coppia, non posso fare torto allo splendido esemplare di moglie con la jeep. Analogamente al marito, ha una macchina che copre una metratura più ampia del mio appartamento e il caratteristico occhiale da sole che a Natale è d’obbligo. La sua qualità principale però risalta durante le ore di punta, quando i parcheggi scarseggiano. Tu, che devi sempre timbrare il cartellino, ti aggiri speranzosa vicino all’entrata. Ecco, hai avvistato un buco insolitamente libero e speri di essere tu la vincitrice del toto-parcheggio. Ma poi ti rendi conto che vicino ci ha parcheggiato lei, la moglie con la jeep, altrettanto ingombrante del consorte e soprattutto meno precisa. La sua macchina infatti è sempre posteggiata con sottile effetto illusionistico. Sembra un parcheggio libero e invece no, la jeep è irrimediabilmente storta quel tanto che basta da rendere infattibile il posteggio. Gran finale, si mette a piovere. Ed è con il maltempo che il bestiario si anima davvero e ci mostra i prodotti migliori della specie. Eccola, la vedo arrivare proprio mentre sto per entrare nel centro commerciale.

 

 

La famiglia sulla station wagon. Al volante lui, con lei di fianco che si è appena fatta la messa in piega e dietro due bambini che i capelli invece se li vogliono strappare. Lui ha un solo obiettivo: scaricarli senza che l’acconciatura di lei si bagni. La station wagon non si ferma davanti a niente, lui la deve portare vicino, più vicino e sotto la tettoia dell’ingresso. Arriva, fa lo slalom tra i carrelli, scavalca muretti, ignora rampe per disabili, abbatte panettoni, biciclette, vecchi col cappello, ma alla fine ce la fa, e scarica lei e la sua prole praticamente dentro le porte del centro commerciale. Ostacolando ovviamente tutto il resto del traffico. Ed è a questo punto che il parcheggio insorge con un immenso colpo di clacson, mentre lui è rimasto incastrato tra un paletto e il cestino dei rifiuti, facendomi quasi gioire di dover entrare al lavoro.

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