Libia, il Paese è nel caos
È iniziato al Cairo il vertice dei Paesi nordafricani confinanti con la Libia, che si occuperà delle violenze e del caos in cui versa il Paese. L'Egitto «chiede il cessate il fuoco immediato in Libia e l'avvio di un dialogo nazionale che rappresenti tutte le parti»: questo l'appello lanciato dal ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukri, in apertura del summit.
In Libia si sta consumando una guerra civile che conduce ogni giorno di più il Paese verso l’anarchia politica e che finora ha provocato la morte di oltre 600 persone. In quella che si chiama Operazione Alba, a combattere contro le formazioni laiche del generale Khalifa Aftar, le formazioni filo-islamiche. Da settimane l’aeroporto di Tripoli è teatro di guerra e lo spazio aereo verso Egitto e Tunisia è stato chiuso al traffico dei voli. Il 23 agosto i miliziani hanno dichiarato d’aver conquistato l’aeroporto di Tripoli. Sempre nella capitale, gli islamisti hanno attaccato la sede di una tv locale vicina alla milizia rivale (e nazionalista) di Zintan.
La Libia è un Paese in preda al caos totale, dove l’elettricità viene erogata solo poche ore al giorno (mai più di tre o quattro), le banche non funzionano, i terminal petroliferi vengono quotidianamente distrutti, non c’è disponibilità di carburante, mancano pane e viveri.
Raid anti-islamici di matrice ignota. Il 23 agosto, giorno della presa dell’aeroporto di Tripoli da parte dei miliziani islamici, alcuni aerei avevano bombardato le loro postazioni di Misurata: per questi raid, i miliziani avevano incolpato Egitto e Emirati Arabi Uniti.
L’Egitto è un Paese governato da regimi ostili all’islamismo e il presidente Al-Sisi, che siede sul trono del Faraone Mubarak, ha addirittura spazzato via l’intera opposizione islamica. Dal Cairo negano però categoricamente ogni coinvolgimento nei raid.
L’attacco aereo, intanto, è stato rivendicato dal generale libico Khalifa Haftar, impegnato da maggio nell’Operazione Dignità per liberare il Paese dall’islam radicale. Ma esponenti dei servizi segreti di Tripoli sostengono che i bombardieri libici non possono volare di notte per ragioni tecniche ed è quindi impossibile che siano stati loro a colpire.
Sotto i riflettori è passata anche l’Italia. Alcune settimane fa il premier italiano si era detto molto preoccupato per quanto stava accadendo in Libia e l’ambasciatore italiano è l’unico a non aver lasciato la Libia dopo che tutti gli altri internazionali se ne erano andati. La tv privata libica al-Asima aveva diffuso voci relative a una presunta operazione di forze Nato o franco-italiane contro militanti islamici. Ma Italia, Stati Uniti e Francia hanno smentito. La NATO ha confermato che nessun aereo dell’alleanza ha operato in Libia negli ultimi giorni. Rimane quindi un mistero a chi appartenga la mano che sta dietro i misteriosi attacchi e raid aerei che insanguinano il Paese.
Classe politica inesistente e imprese italiane. I Paesi confinanti, in particolare Egitto e Algeria, sono molto preoccupati per la piega che ha preso questa escalation di violenza, soprattutto per il costante flusso di armi illegali fra Egitto e Libia, che ha permesso a molti estremisti locali di armarsi e compiere attentati.
Parallelamente alle violenze, il Paese non può contare nemmeno su una classe politica, ormai inesistente e delegittimata. Le elezioni di fine giugno, il cui grande vincitore è stato l’assenteismo, hanno dato alla Libia il primo presidente dell’era post Gheddafi. Si tratta di Ageela Salah Issa Gwaider, di Guba nell'est del Paese. Ma il parlamento è comunque in preda a divisioni e ormai governa solo su Tobruk, senza le forze per controllare né la capitale né l’esercito.
L’Italia è l’unico Paese che mantiene aperta la sua ambasciata. E con i diplomatici restano sul posto ben 200 imprese. Fra queste c’è l’Eni, cuore pulsante dell’economia nazionale, con le sue raffinerie e il gasdotto che collega la Libia alla Sicilia (Gela). Una struttura strategica, perché un quarto delle forniture energetiche dell’Italia viene proprio dalla Libia.
Crocevia di profughi. Intanto, dalla Libia partono intensi e oscuri traffici di profughi, dei quali gli scafisti sono padroni incontrastati. Qui le organizzazioni che trafficano persone sono più radicate che altrove, grazie anche al governo praticamente inesistente.
La maggior parte di chi si imbarca sulle coste libiche arriva dall’Africa subsahariana: la Libia è il ponte verso l’Europa per eritrei, somali, nigeriani, sudanesi, etiopi. I libici infatti, hanno un pil procapite di molto superiore a quello degli altri paesi, cosa che permette a chi vuole fuggire dalla guerra di farlo tranquillamente con un volo di linea e dopo essersi già organizzati la base per una nuova vita nel Paese di arrivo.
Vicino a Tripoli, si erano imbarcati su barcone i 250 migranti che hanno perso la vita nell’ennesima tragedia avvenuta lo scorso venerdì davanti alle coste libiche.