I funerali di Brown in diretta come li abbiamo visti in tv
Michael Brown, il ragazzo ucciso dalla polizia a Ferguson due settimane fa circa, ha avuto i suoi funerali. È andato tutto bene. La cassa è stata portata nella chiesa della città un’ora prima della cerimonia. La chiesa si chiama Friendly Temple Missionary Baptist Church e assomiglia in tutto e per tutto a un cinema-teatro: platea e galleria, poltroncine e palco. Sotto il palco la bara con un cuscino di rose rosse. Sopra il palco un balconcino semicircolare tenuto su da pilastri in marmo non si sa se vero o falso. Dietro, il coro gospel.
I primi ad arrivare sono i parenti, o meglio la madre, in rosso, accompagnata da un personaggio pure in camicia rosso scuro con panciotto nero e occhiali neri. Alla sua sinistra, a due o tre poltroncine di distanza, il padre, alle prese con una bambinetta nera che probabilmente andrà in prima a ottobre. Lei gioca col cappello di lui. Marito e moglie non si guardano nemmeno.
Ai due lati del corridoio centrale, una fila ininterrotta di infermiere biancovestite molto disponibili a cantare e ballare al minimo accenno che provenga dal palco. La telecamera si muove di qua e di là in attesa che qualcuno prenda la parola.
Nel frattempo su Fox2now va in onda una conferenza stampa a più voci, in cui la polizia in abito informale spiega come sono andati i fatti e assicura che tutti gli atti saranno resi di pubblico dominio. Il pubblico non si vede e i relatori stanno tutti in piedi. L’anatomopatologo sembra un vecchio giudice da Far West coi radi capelli bianchi. In seconda fila un nero enorme, in giacca e cravatta, alto quanto un uomo e mezzo e largo altrettanto. Prenderà la parola per pochi minuti e nessuno gli farà domande.
Sull’altra tv (Ksdk video) la telecamera continua a muoversi lentamente e senza senso. Nessun commento. Devono averci mandato uno nuovo.
Poi la conferenza stampa finisce e i due streaming si fondono. Quello di Fox2 è un po’ in ritardo sull’altro. Cominciano gli interventi. Uno dev’essere il responsabile del Friendly Temple che fa la sua introduzione: la giustizia di Dio, la presenza di Jesus Christ, il ragazzo che riposa in pace. La mamma di Michael annuisce in continuazione, col movimento oscillante degli ebrei ortodossi davanti al Muro del Pianto. Poi canti, con un direttore del coro immenso al pari dell’uomo della conferenza stampa ma con qualche chilo in più dovuto all’età, che attraversa tutto il palco danzando leggero. Altre prove di oratoria battista. Versetti di salmi recitati da voci di una qualità incredibile supportate da una gestualità che viene da lontano. Un reverendo legge il suo intervento da uno smartphone. La mamma continua a annuire. Il padre sembra colpito da alcuni passaggi dell’uno o dell’altro oratore. Una signora anziana con un cappellino con la tesa anteriore rovesciata ricorda dipinti di schiavi del sud e di tanto in tanto si alza per applaudire. La telecamera la segue fino a che non torna a sedersi.
Dodici giorni di rivolta, Ferguson a ferro e fuoco, il secondo ragazzo morto a Jennings: qui pare che non sia successo niente. Ogni tanto un’infermiera porta un fazzoletto alla mamma. Su molte cravatte è stato stampato il volto di Michael. Anche sui fazzoletti c’è il suo volto. Finalmente si alza dalla poltrona il Rev. Al Sharpton, attivista dei diritti dei neri. Parla da solo quanto tutti gli altri messi insieme. Dice quel che deve dire: che la giustizia deve essere giusta, che la polizia non deve sparare, che tutti devono poter camminare nelle strade senza paura di essere discriminati. Che questo è un momento importante per gli Stati Uniti. Riceve molti applausi. Poi smette.
Arrivano gli addetti delle pompe funebri, con cravatta a righe oro e nero. Il coro sullo sfondo continua a cantare (benissimo), la gente comincia a lasciare il Friendly Temple, la cassa viene spostata lungo il corridoio centrale verso l’uscita. Ogni tanto si ferma perché la gente si intrattiene a parlare. Fuori attendono le auto. La polizia non si vede: è camuffata da operatori del traffico, col gilet verde fluorescente. La scritta Police non si nota. La folla è lì da due ore: nonostante all’interno del tempio ci fossero diversi posti vuoti è stata dirottata su un’altra sala con gli schermi a circuito interno. Adesso è uscita e fa fotografie. Più o meno sono tanti quanti quelli che erano dentro. Dato che la capienza del teatro è di 2500 posti, il conto è presto fatto. Gli addetti al carro funebre sono vestiti in modo assolutamente improbabile e tacciono, immobili. Si sente il coro da dentro, che continua. Ogni tanto la telecamera incontra il padre di Michael, orecchino sulla sinistra e barba da imam. Qualche donna abbraccia la madre, che dopo poco prende posto su un’auto. Il coro deve aver smesso di cantare. Anche lo streaming finisce: lo schermo è grigio, senza coda né niente. Su Fox2 va avanti ancora pochi secondi.