E se Trump avesse vinto per merito delle donne? Non è una tesi peregrina. Iniziamo da colei che è stata la vera artefice della vittoria. Si chiama Kellyanne Convay. Era la prima volta che una donna veniva chiamata guidare la campagna elettorale americana. Era arrivata a metà agosto quando Trump era (o sembrava…) in piena caduta libera nei consensi, dopo aver insultato i genitori dell’eroe di guerra di origine pachistana. Nel suo primo giorno di lavoro, il 17 agosto, la forbice dei consensi secondo i sondaggisti era enorme: almeno +10% per Hillary.
Ha guidato con successo una campagna difficilissima, in cui proprio nel mirino c’era il comportamento spregiudicato del suo candidato nei confronti delle donne. Ma lei ha ribattuto colpo su colo, ricordando che anche il New York Times, giornale apertamente schierato sul fronte democratico, aveva criticato il comportamento di Hillary rispetto alle infedeltà del marito. È lei a spingere avanti il vicepresidente Mike Pence, netto vincitore nei confronti con il corrispettivo di Hillary, Tim Kaine. La sintesi del suo messaggio è stata semplice e ha fatto decisamente breccia: «Un fatto è certo: gli americani si sentono in pericolo, minacciati su diversi fronti, e quindi vogliono un cambiamento della linea anche nel campo della sicurezza nazionale».
La seconda donna che ha trainato Trump al successo è certamente sua moglie Melania. È stato il controcanto sorridente del candidato arrabbiato con il mondo. La figura elegante (è stata anche modella) a fianco dell’americano un po’ buzzurro. Ha capito che il modello doveva essere Michelle Obama e alla Convention repubblicana ha plagiato il suo discorso del 2008. Ma alla fine lei era l’immigrata (è nata nel 1970 in una cittadina slovena) che portava al marito anche in consensi di chi avrebbe dovuto temere la sua politica. Paradossalmente, lei, moglie del candidato “bullo”, ha finito in bellezza la campagna con un discorso anti bullismo, dimostrando di saper leggere le paure e le attese dell’America profonda. Melania rappresenta l’incarnazione estrema del patto con gli americani. Se la promessa di Obama era «io sono voi», quella di Trump è «voi siete me».
La terza donna è la figlia Ivanka. Anche lei molto sensibile alla moda, è nata nel 1981 ed è figlia di Donald e della prima moglie Ivana Zelníčková. Ha tre figli e ha fatto di ogni comizio la sua passerella: i suoi famigerati accavallamenti di gambe alla Basic Instinct e il fisico invidiabile pur dopo la terza gravidanza sono stati portati ai comizi per la gioia degli elettori di papà Donald. In campagna elettorale ha messo a segno anche un’idea di successo: un piano a favore delle mamme lavoratrici, ribattezzato «Ivankacare». Un piano che con la maggioranza dei repubblicani alla Camera non ha nessuna speranza di diventare realtà, ma che ha portato simpatie e consensi al fronte Trump. Il merito di Ivanka però è soprattutto un altro: quello di aver sposato Jared Kushner, ebreo dinamico e osservante. In campagna elettorale ha avuto un ruolo importantissimo, perché era l’unico capace di moderare il suocero quando si lasciava travolgere dagli attacchi d’ira. E poi ha tolto un’arma ai democratici che non hanno potuto accusare Trump e la sua destra populista di antisemitismo.