La parola dell'anno è post-verità

Dopo molte discussioni, dibattiti e ricerche, il vocabolo scelto come parola dell'anno è stato post-truth, un sostantivo definito come «l'approccio alle circostanze nel quale i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l'opinione pubblica, che si basa su emozioni e credenze personali».
Perchè è stata scelta. Il concetto di post-verità esiste già da una decina d'anni, ma l'Oxford Dictionaries, omologo britannico della nostra Accademia della Crusca, ha visto un picco di frequenza quest'anno, nel contesto del referendum europeo sulla Brexit in Gran Bretagna e in quello dell'elezione del Presidente degli Stati Uniti. Il termine è anche stato associato con costanza con un particolare aggettivo, nella frase «post-verità politica». Il vocabolo è passato dall'essere un termine molto poco usato a un pilastro dei commentatori politici anglofoni, ed è ormai utilizzato nelle più importanti pubblicazioni senza la necessità di chiarirne la definizione.
La parola non è più nuova, almeno in ambienti anglosassoni, e nel 2016 è diventata ampiamente compresa, dimostrando il suo impatto nella coscienza nazionale ed internazionale.
Una breve storia del termine. La parola composta post-verità esemplifica un'espansione nel significato del prefisso post che è diventato sempre più utilizzato negli ultimi anni. Invece che riferirsi semplicemente a un momento successivo a una specifica situazione (es. post-partita), il prefisso qui ha un significato che appartiene più a un tempo nel quale un determinato concetto è diventato meno importante o irrilevante. Questa sfumatura sembra sia nata a metà del Ventesimo secolo, con parole quali post-nazionale e post-razziale.
Post-verità sembra sia stato utilizzato per la prima volta nel 1992, in un documento del drammaturgo serbo-americano Steve Tesich, sul magazine The Nation. In una riflessione sullo scandalo Iran-Contra, avvenuto negli Stati Uniti sotto l'amministrazine Raegan, e sulla Guerra del Golfo, Tesich ha affermato che «noi, come persone libere, abbiamo deciso liberamente che vogliamo vivere in un mondo di post-verità». Ci sono prove del fatto che la parola post-verità sia stata usata prima della pubblicazione dell'articolo di Tesich, ma intendendo una situazione successiva alla scoperta della verità, e non con il significato che la verità stessa sia diventata irrilevante.
Il libro The Post-Truth Era di Ralph Keyes, pubblicato nel 2004, e il comico americano Stephen Colbert nel 2005 hanno reso popolare un termine inglese che aveva lo stesso concetto: truthiness, definito dall'Oxford Dictionaries come «la capacità di sembrare o essere percepito come vero, anche se non lo è necessariamente». Post-verità estende questa nozione rendendola una caratteristica generale del nostro tempo.
Gli altri contendenti. La scelta di questa parola ha vinto nella sfida con altri termini, come il sostantivo alt-right (destra alternativa), che definisce «un'associazione riunita ideologicamente con punti di vista estremamente conservatori o reazionari, caratterizzati da un rifiuto della politica classica e dall'uso del web per diffondere deliberatamente contenuti controversi». Un altro vocabolo in lizza era Brexiteer. Post-truth ha però vinto la contesa, grazie anche alla sempre maggiore popolarità del termine: «Abbiamo visto un picco di frequenza quest'anno in giugno, con il voto della Brexit e la nomina di Donald Trump come candidato repubblicano negli USA. Da allora è diventato sempre più popolare e non sarei sorpreso se diventasse uno dei termini più significativi del nostro tempo», ha dichiarato il presidente dell'Oxford Dictionaries, Casper Grathwohl, al Guardian. In passato la vittoria era stata per altri termini che sono entrati ormai nell'uso comune, ma che fino a pochi anni fa nemmeno esistevano. La diffusione delle sigarette elettroniche, ad esempio, avevano visto l'affermarsi del termine vape (svapare), ma anche il termine selfie è stato premiato nel 2013.
Post-verità in Italia. La scelta dell'Oxford Dictionaries ha dato ulteriore rilievo a questo vocabolo anglosassone, che però in Italia non era mai stato utilizzato con grande frequenza, né dai media, né nel linguaggio comune. In queste settimane, tuttavia, si è molto discusso del significato del termine, quantomai attuale anche nel nostro Paese, che come molti altri Stati esteri ha visto un'escalation di aggressività nelle dichiarazioni dei politici, con una propaganda sempre più esasperata. La spaccatura nell'elettorato, di cui spesso i giornali parlano, è dovuta probabilmente anche a queste circostanze, che non invitano al dialogo quanto piuttosto allo scontro frontale.
Anche in terra nostrana, il racconto fatto dai politici di ogni schieramento è sempre più composto di slogan e affermazioni false o poco corrette, mentre la verità è sempre meno importante e lascia spazio alla post-verità, ovvero al sentimento che da una notizia scaturisce, per quanto poco veritiera. Anche i cittadini, coinvolti in questa strategia politica, sono sempre meno critici e in generale tendono a credere a notizie false che rientrino nella loro percezione del mondo. Questo è anche uno dei motivi principali per cui il web ed i social sono invasi da bufale di ogni genere.