Terme e maiali a Sant'Omobono: la vera storia di Villa delle Ortensie
La Villa delle Ortensie di Sant'Omobono Terme è ormai nota ai più come luogo paradisiaco di riposo e cura termale. Ci si può curare con le proprietà benefiche, anche se poco profumate, delle acque sulfuree, oppure godere dell’oasi di pace e relax che la villa antica offre con la sua cornice di montagne della Valle Imagna. Anche i fanghi di argilla e acqua sulfurea sono estremamente salutari, una volta superata l’impressione di doversi immergere fino al collo nelle pozze. E proprio in questa pratica un po’ animalesca, per quanto estremamente piacevole, ritroviamo le vere radici della villa Ortensie. Cioè?
Ebbene, una volta la SPA più conosciuta della valle orobica era un maialificio. Sì, avete capito bene. Dove si rotolavano i maiali, ora ci rotoliamo beatamente oggi gli ospiti. La villa fu costruita a inizio del Novecento da un certo signor Rossi, imprenditore agricolo del milanese che la dedicò a sua moglie, chiamandola Villa Maria. Ma ben presto, la sontuosa residenza estiva, vuoi per impegni vari, vuoi per due piccole guerre mondiali, cadde in disuso. Ci si teneva solo qualche animale, tra cui ovviamente gli onnipresenti maiali della bergamasca, e una coltivazione modesta di pere, curati da gente del posto in accordo con la famiglia Rossi.
Nel 1961, il nipote del signor Rossi, decide di risistemare il posto e di costruire alle spalle della casa padronale una serie di stalle per i maiali. E così si aprì il vero e proprio businness del maiale. Come lo sappiamo?
I fattori della villa erano i nonni di chi scrive, Alice e Piero, i quali, avendo conosciuto il Rossi a Milano, dove lavoravano entrambi, hanno ottenuto il “privilegio” di tornare nella tanto amata valle per essere impiegati proprio lì. E così, la nonna teneva in ordine la casa e badava agli altri animali che servivano alla sopravvivenza, il nonno si occupava delle stalle e dei maiali e il loro figlio del giardino (tra cui le innumerevoli ortensie già presenti allora). Tutta la famiglia, compresi i figli nati dopo, è nata e cresciuta nella villa. La famiglia dei padroni veniva in visita solo nel fine settimana, e loro erano ammessi nella villa per i pranzi. Altrimenti abitavano nella casetta del mezzadro, che si può vedere ancora oggi appena svoltata la curva dopo il cancello di ingresso al parcheggio della villa.
Il maialificio era molto grosso, ogni tre o quattro mesi si portavano via una cinquantina di maialini da 30 chili l’uno, per la macellazione. Inizialmente tutto era gestito da Piero: cibo, pulizia, gravidanze, pesatura e riparazioni varie. Poi, con l’avvicinarsi degli anni Settanta, iniziarono ad arrivare le prime comodità e gli impianti per i maiali divennero automatici. «Però bisognava stargli dietro lo stesso», racconta oggi Alice, agitando la mano. Delle riparazioni ovviamente si occupava Piero, meccanico e idraulico improvvisato. E poi?
Poi con il progresso sono arrivate anche le normative igieniche ed ecologiche. Una volta ovviamente, di depuratori neanche a parlarne. Così pare che l’idillio suino sia terminato bruscamente quando degli sfortunati pescatori durante una gara, si sono accorti a loro spese che lo scarico della villa finiva direttamente nel fiume Imagna, nonostante le norme che imponevano l’adeguamento degli impianti. Alice non ha voluto rivelarmi tutti i dettagli della vicenda, ma pare che sia stata una chiusura turbolenta e poco chiara, con fughe e fucili in stile West-Imagna. Nel ’75 Alice e Piero abbandonano definitivamente la villa, che resterà ancora in funzione come maialificio per un paio di anni e poi chiuderà i battenti. Nel 1978 poi, il signor Angelo Bonomelli decide di acquistarla e di trasformarla nell’oasi di pace e cura che è oggi.