Metti un piatto all'Hostaria in città Dove il gusto è delicata avanguardia
Pensate di cominciare una cena in un ristorante elegante con un minestrone. Non solo si può, ma ha perfettamente senso, se siete seduti tra i tavoli dell’Hostaria del Relais San Lorenzo, in piena Città Alta. La firma sul menù che vi verrà proposto è quella di Antonio Cuomo, giovane cuoco partenopeo, figlio di chef, curioso, insaziabile indagatore di materie e tecniche quasi autodidatta, con un’invidiabile propensione al nuovo.
Mi si è raffreddato il minestrone. Nel minestrone dello chef, che in realtà è tutti i minestroni possibili e nessuno allo stesso tempo, si nasconde tra un boccone e l’altro l’intera anima di questa posto. Prima di tutto perché è la metafora di un incontro-scontro con la più classica delle tradizioni: un piatto italiano talmente simbolico da essere internazionale. Secondo, perché è una prova tangibile di una certa tecnica affinata e raffinata al servizio dell’arte culinaria: denaturare un piatto del genere, così ricco di ingredienti, non è cosa da poco. Come ci si riesce? Preparando un base brodosa a base di cipolla e sedano, un brodo da infusione che si prenda solo i principi attivi e i sapori caratteristici e delicati lasciando da parte la componente acida. Poi, studiando con precisione chirurgica una successione di verdure, ognuna con la propria consistenza e il proprio sapore, essenzializzate e trasformate in emulsioni.
Un piatto che si gioca tutte le sue carte sul tono specifico della nota vegetale, la più ampia possibile, tra le zucchine abbinate alla menta e le carote ricoperte di mandorle. Una monotonia vegetale, in verità, che viene interrotta solo dalla profondità spiazzante di un gelato, insolito, al sapore di patata arrosto, che è il nostro diapason inaspettato capace di far risuonare tutti gli altri componenti. Ed è solo partendo dal gelato che possiamo, poi, concentrarci sulle texture fortemente indagate in fase di sperimentazione, sulle consistente e sugli sbalzi termici (non a caso il titolo dell’opera è Mi si è raffreddato il minestrone). Il tutto ingentilito e ravvivato da germogli di pisello, di rabarbaro di acetosella. Come un giardino. Polvere d’olio che simboleggia il classico tocco finale e briciole di pane al riso venere per decorare. Un piatto bello da vedere e intelligente nei suggerimenti che, costantemente, boccone dopo boccone, lascia al commensale.
Un menù ambizioso ed essenziale. Tutta questa esperienza dovete immaginarla nell'elegante sala che, esteticamente, è il contraltare naturale della cucina di Antonio Cuomo. Sicuramente non banale e certamente un po’ formale, è stata ricavata tra i piani e le passerelle incastonate tra antiche costruzioni. Così abilmente illuminata che quasi sembra di essere in qualche lussuoso Palace di Londra o di New York. Il menù è essenziale e gode della particolarità di proporre sempre una scelta vegana. Tenere questo tipo di proposta in una carta di così alto livello è sintomo di grande coraggio: con regole così rigide si rischia di inciampare (e ogni tanto accade).
Una scelta che mostra tra l’altro l’affinità e l’amicizia con lo storico ristorante Joia di Milano e una curiosità d’avanguardia più unica che rara. Ma anche la possibilità di costruire un menù completo, non necessariamente modaiolo, capace di abbracciare e soddisfare tutti i palati e tutte le voglie possibili. Meglio ancora se questo significa una sfida di abilità nel cercare di creare con un numero limitato di elementi.
Un consiglio per il dolce, infine: se vi piace sperimentare provate Contrasto. Nato dal confronto con Terry Giacomello per una serata d’occasione, questo dessert si gioca tutto sullo scontro di sapori e consistere tirando in ballo wasabi, yuzu e croccante sbagliato di arachidi salate. Ma tutto così equilibrato da risultare soprendentemente piace vole.