Quando fu rasa al suolo

Quel giorno a Guernica, 80 anni fa

Quel giorno a Guernica, 80 anni fa
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Quel lunedì 26 aprile di ottant'anni fa il mercato a Guernica, città simbolo, capitale spirituale della nazione basca, si era svolto come sempre. In mattinata c’era solo stato l’episodio di un aereo di ricognizione che aveva sorvolato la città, ma la popolazione non si era preoccupata. Guernica in realtà, in quegli anni di cruenta guerra civile, aveva assunto un’importanza strategica particolare, in quanto era uno dei pochi passaggi che garantivano via di fuga alle truppe basche, i “gudaris”, impegnate nel confronto con i nazionalisti del generale franchista Mola.

 

 

C’era stata un’avvisaglia inquietante: il 31 marzo un aereo aveva lanciato un volantino sulla città, minacciando bombardamenti se non ci fosse stata la resa. Ma a tutti sembrava impossibile una scelta così scellerata. Invece quel 26 aprile verso le 16 decine di aerei contrassegnati dalla croce nera si alzarono in volo dal Golfo di Biscaglia e cominciarono la loro opera di distruzione: furono le campane del convento delle Carmelitane a suonare l’allarme e questo limitò il bilancio dal punto di vista delle vittime. Per tre ore gli aerei della Luftwaffe e del contingente italiano alleato scaricarono bombe a schegge da 250 chili l’una sulla città. Vennero buttate anche bombe incendiarie, progettate per bruciare tutto a una temperatura di 2500 gradi. Alle 19,45 Guernica di fatto non esisteva più.

 

 

La sera la notizia arrivò a Bilbao dove erano acquartierati i giornalisti della stampa internazionale. Tra loro c’erano Christopher Holme della Reuter, e George Steer che lavorava per il Times e per il New York Times. Partirono immediatamente per Guernica. Il 27 aprile la Reuter lanciava un dispaccio intitolato «Il raid aereo più sconcertante della storia». Lo stesso giorno, favorito dal fuso orario, il New York Times pubblicava la corrispondenza di Steer, accompagnata anche da una foto impressionante di ciò che restava di Guernica. «Oggi alle due di notte, quando mi sono recato nella città, la visione era orribile ovunque, un incendio da un capo all’altro. Il riflesso di fuoco si vedeva nelle nubi di fumo a dieci miglia dalla città»: così iniziava l’articolo. Che concludeva rimarcando le caratteristiche inedite di questo bombardamento: «Il raid su Guernica non ha precedenti nella storia militare. Non era un obiettivo militare: una fabbrica di materiale bellico si trovava fuori dalla città ed è rimasta intatta. Il bersaglio del bombardamento era il morale della popolazione civile e la distruzione della culla della civiltà basca».

 

 

Su Guernica poi si sono aperte infinite dispute storiche. Scesero in campo anche i negazionisti, che arrivarono ad attribuire ai baschi gran parte delle responsabilità e insinuando: incendiando la loro città volevano accattivarsi le simpatie internazionali. Probabilmente il bilancio delle vittime fu meno drammatico di quanto altri storici hanno valutato: alla fine pare che i morti siano stati circa 200. Ma Guernica è divenuta subito un simbolo, per via di quella foto apocalittica pubblicata dal New York Times. Il 28 aprile L’Humanité, quotidiano dl partito comunista francese, rendeva noto un resoconto drammatico con foto delle vittime e della città prese da un aereo.

Tra i suoi lettori il quotidiano annoverava anche Pablo Picasso, che in quegli anni stava a Parigi, in auto-esilio dalla Spagna franchista. Non perse tempo, Picasso: con il suo fiuto capì che quella era materia per lui. Il 1° maggio su un foglio di carta aveva già disegnato lo schizzo di quello che sarebbe diventato il quadro più famoso del Novecento: Guernica. Ci sarebbero voluti pochi mesi di lavoro, per dipingere quel quadro di 8 metri di lunghezza: a luglio veniva esposto nel padiglione della Spagna repubblicana all’Esposizione universale di Parigi. Il mondo non avrebbe mai più dimenticato quelle bombe del 26 aprile di 80 anni fa.

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