Quanto vale la morte (di Davide)

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Me l’hanno ammazzato, ha detto la madre. È stato un colpo accidentale, hanno detto i carabinieri.

I colpi accidentali non esistono. Se l’arma fosse stata nella fondina, il colpo non partiva di sicuro. Ma c’era stato un inseguimento. E come noto, come ampiamente dimostrato dalla scienza criminologica (e come abbiamo già scritto in occasione dei fatti di St. Louis) al termine di un inseguimento non si dovrebbe mai metter mano ad un’arma. Perché poi parte il colpo accidentale. E infatti è partito.

Questi erano in tre su uno scooter, senza casco. Non guidava lui, Davide Bifolco, il ragazzo che poi è morto. Guidava un altro, che non aveva l’assicurazione. Dietro c’era un terzo passeggero, ricercato per qualche violazione (domiciliari, sembra), che è riuscito a scappare.

Lo scooter cade - son si sa ancora perché: un urto contro l’auto dei carabinieri. Perdita di controllo da parte del guidatore. Le due cose insieme - il ragazzo, Davide, cade a terra e mentre lo ammanettano - o prima che lo ammanettino - parte il famoso colpo.

La mamma - mandata a chiamare perché portasse i documenti: Davide era minore - arriva e lo trova morto. Fine.

No, fine no. Gli amici arrivano e portano dei fiori e una foto di Hamsik, l’attacante del Napoli. A Michael Brown - il nero di Ferguson, St. Louis - un cappellino di una squadra di basket che oggi non c’è neanche più.

Una mamma che fa le pulizie. Una foto di Hamsik. Due amici ricercati. Un colpo accidentale. Una vita così. Si può pensare di toglierla perché erano in tre su un motorino? O rischiare di metterla a rischio per un’assicurazione non pagata? Se sì, anche la morte si pensa che valga poco.

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