Per capire chi è Mario Delpini, nuovo arcivescovo di Milano, bisogna leggere un suo curioso libretto pubblicato nel 1998. Si intitola Reverendo, che maniere… e com’è facile intendere è un piccolo e anche spiritoso manuale rivolto ai sacerdoti perché non cedano ad atteggiamenti troppo protagonistici. In particolare verso le parrocchiane, sottolinea Delpini. Un libro che è un “galateo pastorale”, un “ambrogino”, è stato ribattezzato, perché pieno di consigli molto concreti, quasi fosse un libro postumo di Sant’Ambrogio. L’intento dell’autore era quello di avvicinare i preti con stima e benevolenza per dire loro che, se riescono a liberarsi dalle zavorre di un certo clericalismo, del complesso del reverendo, dell’efficientismo manageriale un po’ pasticcione, possono guardare con fiducia al nuovo millennio.

«Alcuni preti», scriveva don Mario, «esercitano la loro furbizia nel conseguire scopi ai quali tengono molto, anche se c’entrano poco con il ministero loro affidato. Pensano ad esempio a incarichi di prestigio o a legare il loro nome a basiliche sproporzionate. Prima o poi i preti furbi arrivano là dove vogliono, anche a prezzo di trascurare i servizi più abituali richiesti dall’esercizio del ministero, come visitare gli infermi, consolare gli afflitti, prendersi cura dei piccoli». Invece troppo spesso i preti hanno la tentazione di far voltar la testa alle donne. E raccomanda di non lasciar spazio a quelle parrocchiane che «tendono a sequestrare il prete, con una specie di gelosia, come fosse il sostituto del marito (che magari non sono riuscite a trovare)».
Lui certamente non ha il profilo del prete rampante in carriera. Ha un tono dimesso, senza nessuna pretesa di dominare la scena mediatica. Il papa lo ha scelto proprio partendo dalle preoccupazioni espresse in quel libretto di tanti anni fa: vuole un vescovo che abbia attenzione ai suoi preti, in linea con la scelta recente del vicario chiamato a governare la diocesi di Roma, Angelo De Donatis.

Delpini è una persona che in questi anni come vicario di Scola ha messo in pratica più di chiunque altro i consigli del suo libro ed è un ambrosiano nel senso puro del termine. In una recente intervista ha insistito sull’eccezionalità della diocesi che oggi è chiamato a guidare: «Si dice che sia la più grande del mondo. In realtà non lo è nel senso dell’estensione territoriale, e neppure nel senso del numero di fedeli. Eppure Milano nel suo complesso ha delle caratteristiche che la distinguono da ogni altra diocesi. La prima è l’antichità: l’evangelizzazione è iniziata già nel terzo secolo, con personalità che hanno lasciato la traccia in tutta la chiesa. Quindi può essere intesa come la più grande per la sua storia o meglio per lo splendore cristiana della sua storia».
Un’altra caratteristica sottolineata da Delpini è «l’iterazione con la società civile». Come avviene ad esempio con gli oratori, una forma di cura educativa che tutte le parrocchie hanno per i giovani. «Un servizio sociale importante, con grande capacità aggregativa», ha spiegato. «A Milano il rapporto con la società civile al massimo livello: non a caso il vescovo di Milano sulla scia di Ambrogio si esprime anche sulle problematiche civili».