Riepilogo del caso Monella
Nel tardo pomeriggio del 13 novembre, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso ad Antonio Monella la grazia parziale di due anni di reclusione. Monella, imprenditore di Arzago, si trova in carcere dal settembre dello scorso anno per aver ucciso un ladro albanese che gli stava rubando l’auto sotto casa. A Monella, condannato in via definitiva per omicidio volontario a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione, rimarrà quindi da espiare una pena residua inferiore a 3 anni. Ciò significa che per l’imprenditore è applicabile l’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale. Nel valutare la domanda di grazia, il Capo dello Stato, oltre che del parere favorevole del ministro della Giustizia, ha tenuto conto del comportamento positivo tenuto dal condannato durante la detenzione e del fatto che il percorso di educazione sino a ora compiuto potrebbe utilmente proseguire, se l’Autorità Giudiziaria ne ravvisasse i presupposti, con l’applicazione di misure alternative al carcere. «Ringraziamo tutte le persone che si sono date da fare, indistintamente – ha sottolineato l’avvocato Enrico Mastropietro, legale di Antonio Monella –, sono stati davvero tutti bravi. Abbiamo fatto bene io e il collega Andrea Pezzotta a tenere un profilo basso e a non fare sparate sui giornali. Il Presidente Mattarella si è dimostrato molto sensibile e un grande giurista. Ora potremo chiedere, e lo faremo, l’affidamento ai servizi sociali. Quella della grazia parziale era tra l’altro la nostra richiesta: non avevamo mai chiesto una grazia totale. E non abbiamo mai perso la speranza, in primis nemmeno lo stesso Monella, perché pensavamo che questa grazia sarebbe stata accolta».
La notizia ha chiaramente fatto gioire molti, a Bergamo ma non solo. In particolare diversi esponenti della Lega hanno cantato vittoria, essendosi sin dai primi istanti mossi affinché Monella potesse uscire dal carcere. A ridimensionare la portata della notizia, però, è La Stampa, che in un articolo precisa come «non si tratta di un via libera alla giustizia fai da te, una legittimazione di ronde, sceriffi e cittadini che impugnano le armi: prendere a fucilate dal balcone di casa i malviventi che tentavano di rubargli il suv, come fece l’imprenditore nel 2006, rimane un reato gravissimo, punito come tale. Contrariamente a quanto sostengono, stranamente concordi, una certa destra e una certa sinistra, l’atto di clemenza presidenziale non lo giustifica minimamente. [...] Fonti vicine al Colle segnalano che la grazia, come si è detto parziale, Mattarella l’ha concessa alla luce di circostanze che la legge nella sua astrattezza non può sempre prevedere in anticipo. All’epoca dei fatti Monella era una brava persona incensurata, si era immediatamente pentito del suo gesto, aveva risarcito i familiari di Ervis Hoxa, durante il processo non aveva mai tentato la fuga o altro, confidando sempre nella giustizia. Inoltre ha già scontato in carcere una parte della pena e, durante la detenzione, ha mantenuto un comportamento irreprensibile. [...] Insomma: Monella potrà tornare libero solo ed esclusivamente in ragione della sua condotta esemplare, non per effetto delle minacce di Salvini, che anzi, secondo chi frequenta il Colle, nelle scorse settimane aveva rischiato addirittura di diventare controproducente per Monella, in quanto la troppa insistenza poteva creare l’impressione sbagliata che la grazia venisse concessa dal Quirinale per quieto vivere, o addirittura come forma di cedimento alle pressioni "padane"».
Ripercorriamo le lunghe e complicate tappe che hanno portato all'arresto prima, alla condanna poi Antonio Monella, che ora finalmente ha ottenuto una grazia parziale.
I fatti. Ervis Hoxha. Per ripercorrere il caso giudiziario di Antonio Monella bisogna per forza partire da questo nome. Era la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006, precisamente le due di notte. In via Verga, ad Arzago d’Adda (piccolo comune della pianura alle porte di Treviglio), vive la famiglia di Antonio Monella, imprenditore edile di (allora) 48 anni. L’uomo, sposato con Egle e padre di un ragazzo di 18 anni e di una bambina di 5, stava dormendo con la moglie quando dei rumori sospetti lo svegliarono. Si alzò e si trovò faccia a faccia con un ladro. Quest’ultimo prese le chiavi del Mercedes di Monella e scappò. Con lui, altri tre malviventi. L’imprenditore, impaurito ma mosso dalla volontà di difendere la sua famiglia, imbracciò il fucile calibro 12 che deteneva regolarmente: senza pensarci, sparò un colpo in aria da un balcone dell'abitazione e uno, da un altro balcone, in direzione della sua auto, dove i malviventi stavano salendo. Questi, impauriti, lasciarono il Merecedes e scapparono sull’auto con cui erano giunti. Monella avvisò immediatamente i Carabinieri, che avviarono le ricerche.
Un'ora e un quarto dopo, alle 3.15, all'esterno di un pub di Truccazzano, comune della provincia di Milano, venne ritrovato Ervis Hoxha, giovane di 19 anni albanese, sanguinante. Le forze dell’ordine lo associarono immediatamente al gruppo di fuggitivi. Il ragazzo venne ricoverato d’urgenza all’ospedale di Melzo, ma la mattina del 6 settembre morì. Antonio Monella, da cittadino vittima dell’illegalità, diventa un assassino. Dopo 8 anni di processi, tre condanne e l’unica flebile speranza rappresentata da una grazia, lunedì 8 settembre 2014 si è presentato spontaneamente al carcere di via Gleno per scontare la pena di 6 anni e due mesi.
L’iter processuale. La morte di Ervis Hoxha ha trasformato Monella in un indagato per omicidio: dei due colpi sparati in direzione dei malviventi, uno è finito contro il mezzo, mentre l’altro ha colpito al fianco il giovane albanese. Hoxha è riuscito a scappare con i compagni, ma è stato poi abbandonato fuori dal pub in gravissime condizioni. Il 7 settembre 2006, Monella è stato iscritto, dal pm Maria Esposito, nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario.
Nel primo interrogatorio, l’imprenditore ha spiegato al magistrato che non era sua intenzione uccidere, anzi, il colpo era partito accidentalmente. Ma la sua tesi non ha convinto. Nei giorni successivi è stata compiuta la perizia balistica, sia da parte di tecnici del Tribunale che da parte di tecnici scelti dalla difesa, e il responso è unanime: Monella non voleva uccidere, non ha preso la mira prima di far partire il colpo. Il pm Maria Esposito ha così presentato la sua richiesta al giudice delle indagini preliminari Bianca Maria Bianchi, cioè 3 anni di reclusione per eccesso colposo di legittima difesa. Il 26 febbraio 2010 era attesa la sentenza del processo con rito abbreviato, ma è arrivata l’inattesa risposta del giudice: il processo era da rifare perché l’accusa non poteva essere di eccesso di legittima difesa, il reato era ben più grave. Un inatteso cambio di rotta giudiziario per la famiglia Monella. Il legale dell'imprenditore, Enrico Mastropietro, ha tentato una nuova strada: pochi giorni prima che accadesse il fatto, era entrata in vigore la nuova legge sulla legittima difesa, che prevede, in caso di violazione del domicilio e in determinate situazioni di pericolo, che il padrone di casa possa lecitamente difendere non solo la propria incolumità e quella dei familiari, ma agire anche in caso di aggressione dei propri beni. Su questo fondamento giuridico è stata costruita la tesi difensiva, che puntava all’assoluzione. Il pm Maria Esposito, invece, ha presentato una nuova richiesta al gup, questa volta di 8 anni per omicidio volontario. Giovedì 13 ottobre 2011, il gup Vittorio Masia ha accolto le richieste dell’accusa e ha condannato Monella a 8 anni di reclusione per omicidio volontario.
Il motivo per cui non è stata accolta la tesi difensiva della legittima difesa è che la legge contempla l’uso legittimo delle armi, anche a difesa dei beni materiali, solo se in quel frangente sussiste il pericolo di incolumità per sé e i propri familiari e se il malvivente non desiste dall'azione, condizioni che non sussistevano nel caso in questione perché, a parere dei giudici, Hoxha stava fuggendo. La tesi della difesa, invece, era incentrata sul fatto che un uomo che sta rubando un'auto non può dirsi in fuga. Il passo successivo, logicamente, è stato il ricorso in Appello, ma la sentenza è stata una nuova doccia fredda per Monella: il 29 giugno 2012, i giudici di secondo grado lo hanno condannato nuovamente, scontandogli però 20 mesi di carcere escludendo il dolo eventuale, cioè escludendo che l’imprenditore avesse sparato con l’intenzione precisa di uccidere. Nonostante ciò, Monella è stato condannato a 6 anni e 2 mesi di reclusione. La famiglia, in quei giorni, ha ammesso che la loro fiducia nella giustizia iniziava a vacillare. Il passo successivo è stato il ricorso in Cassazione. L’ultimo atto processuale della vicenda ha avuto il suo epilogo il 25 febbraio 2014, con la Corte Suprema che ha confermato la sentenza di secondo grado: Monella dovrà scontare 6 anni e 2 mesi di carcere per l’omicidio volontario di Ervis Hoxha e dovrà, inoltre, pagare un risarcimento danni di 150mila euro ai familiari del ragazzo albanese (50mila euro per ogni parte civile: madre, sorella e fratello). La speranza diventa disperazione, la fiducia rabbia. Il legale Mastropietro non si è arreso e ha avanzato una richiesta di grazia al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una richiesta che non ha avuto risposta fino al 13 novembre 2015, quando il nuovo presidente, Sergio Mattarella, ha concesso una grazia parziale.
Da via Verga a via Gleno. Il giorno successivo alla sentenza definitiva di condanna, ad Arzago d’Adda la rabbia era tangibile. Monella è un imprenditore conosciuto e stimato. I suoi concittadini sono tutti con lui. «È un padre di famiglia trasformato in criminale solamente perché ha fatto ciò che avrebbero fatto tutti, ovvero difendere la propria famiglia» dicono tanti. La sua storia diventa un caso nazionale, con la Lega Nord che si schiera apertamente dalla sua parte, in primis il segretario provinciale Daniele Belotti, successivamente anche il leader Matteo Salvini. Contemporaneamente, il sindaco di Arzago Gabriele Riva, che è anche segretario provinciale del Pd, fonda un comitato che ha l’obiettivo di raccogliere firme in sostegno della grazia di Monella. Il Carroccio, superando le divisioni politiche, decide di supportare l’iniziativa. Così, mentre in via Verga la famiglia vive l’angoscia di veder arrivare da un momento all’altro le forze dell’ordine per arrestare Monella, la comunità si adopera per lui: nel giro di 20 giorni, Riva e il suo comitato raccolgono 10mila firme a sostegno della grazia e 300 firme di rappresentanti istituzionali tra sindaci, consiglieri comunali e parlamentari di schieramenti politici trasversali.
Intanto, però, l’avvocato delle parti civili Marco Negretti, denuncia pubblicamente che i 150mila euro di provvisionale dovuti non sono ancora stati versati e minaccia il pignoramento dell’abitazione dei Monella. Questa strada si è rivelata impraticabile, perché l’imprenditore, consapevole del rischio a cui andava incontro, poco tempo prima aveva fatto confluire la casa in un fondo immobiliare, rendendola così intoccabile. Già nel 2008, Monella aveva versato di sua spontanea volontà 40mila euro alla famiglia di Hoxha, in segno di risarcimento. L'avvocato Negretti ha però spiegato che i 150mila non sono un "risarcimento danni", bensì una provvisionale, cioè una somma di denaro disposta dal giudice in sentenza per la parte offesa di un reato. Il legale di Monella, Mastropietro, ha spiegato che il suo assistito non aveva sottratto alcun bene e che era pronto ad adempiere ai suoi obblighi. La questione si è chiusa solamente in agosto, con Monella che ha aperto un mutuo e versato i 150mila euro dovuti (con gli interessi nel frattempo maturati).
A marzo, l'avvocato dell'imprenditore ha richiesto al Tribunale di Brescia una sospensione della pena detentiva, in attesa di conoscere l'esito della domanda di grazia. Il Tribunale ha risposto il 22 marzo: la pena è differita di 6 mesi, in vista di una «non improbabile concessione del richiesto provvedimento clemenziale (la grazia, ndr)» e per il «ravvedimento dimostrato dall’uomo». Per la prima volta da 8 anni, la famiglia Monella vive l'estate con un po' di tranquillità. La risposta alla domanda di grazia è attesa entro ferragosto, ma il 15 agosto passa nel silenzio e si arriva al 25, giorno in cui scadono i 6 mesi di sospensione della pena detentiva. Monella può, ancora una volta, finire in carcere da un momento all’altro. Il procuratore capo di Bergamo Francesco Dettori, però, non emette alcun ordine d’arresto. Nonostante ciò, l’imprenditore e la sua famiglia vivono nell’ansia e così, lunedì 8 settembre 2014, Monella decide di costituirsi alle forze dell’ordine, presentandosi alle 10 al carcere di via Gleno, accompagnato dal suo legale e dal figlio Alberto. La Lega Nord torna a reclamare a gran voce la grazia. Gabriele Riva, sindaco di Arzago e promotore della raccolta firme diffonde un comunicato in cui torna a spiegare i motivi per cui l'imprenditore merita un gesto di clemenza. Ma da Roma tutto tace. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando avrebbe dovuto esprimere un parere sul caso prima di ottenere la risposta definitiva del presidente della Repubblica. Ma verso la fine del 2014 arriva una nuova doccia fredda per la famiglia Monella: Giorgio Napolitano annuncia la volontà di lasciare il Colle. Questo rimanda ogni decisione sulla grazia a tempo indefinito. Si giunge così al 2015, all'elezione di Sergio Mattarella, alle nuove proteste della politica, in particolare dei leghisti. E solo un anno e 2 mesi dopo il suo ingresso in via Gleno è arrivata finalmente una risposta: la grazia parziale. Non è forse quello che speravano Monella e i suoi legali, ma è già tanto. Ora la possibilità di riabbracciare la sua famiglia e tutta la comunità che lo ha sempre sostenuto in questi mesi di carcere è vicina.