Morì oggi, otto anni fa

In ricordo di David F. Wallace La sua storia d'amore e di fantasmi

In ricordo di David F. Wallace La sua storia d'amore e di fantasmi
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«Siamo d’accordo un po’ tutti che questi sono tempi duri, e stupidi, ma abbiamo davvero bisogno di opere letterarie che non facciano altro che drammatizzare quanto sia tutto buio e stupido? Nei tempi bui, quello che definisce una buona opera d’arte mi sembra che sia la capacità di individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità dei tempi. […] Quello che è stimolante e ha una vera consistenza artistica è, dando per assodata l’idea che il presente sia grottescamente materialistico, vedere come mai noi esseri umani abbiamo ancora la capacità di provare gioia, carità, sentimenti di autentico legame, per cose che non hanno un prezzo. E se queste capacità si possono far crescere. Se sì, come, e se no, perché».

 

David Foster Wallace è stato un grande scrittore americano. Tra gli altri riconoscimenti, venne definito dal New York Times «la migliore mente della sua generazione», vinse una borsa di studio MacArthur (anche chiamata “sovvenzione per geni”) e Il Re Pallido, romanzo postumo,fu nominato nel 2012 tra i finalisti per il Pulitzer, quell’anno non assegnato. Sei anni fa sua moglie Karen lo ha trovato impiccato nel garage di casa a Claremont, in California. David aveva combattuto per tutta la vita contro una depressione che ogni tanto tornava a fargli visita; non era la prima volta che tentava il suicidio. Era nato nel 1962 a Ithaca, nello Stato di New York, ma visse la maggior parte della sua infanzia tra i campi di grano di Champaign, in Illinois, vicino a dove suo padre insegnava filosofia in qualità di professore emerito all’Università di Urbana-Champaign.

Wallace amava la matematica e il tennis: la prima gli produceva «un’evocazione catartica della nostalgia di casa» (le linee rette e curve degli orizzonti topografici del Midwest), mentre il secondo, «gioco di soluzioni infinite in uno spazio finito», era per lui una delle massime espressioni della bellezza umana, tanto che in un articolo scritto per il Ny Times aveva definito il campione svizzero Roger Federer «un essere fatto sia di carne sia, in qualche modo, di luce». Federer ricorderà quell’intervista come una delle più intense della sua vita.

La bibliografia di Wallace consta di tre romanzi (La Scopa del Sistema, Infinite Jest e Il Re Pallido), tre collezioni di racconti (La Ragazza dai Capelli Strani, Brevi Interviste con Uomini Schifosi, Oblio) e diverse raccolte di saggi ed articoli apparsi sui più importanti magazine letterari del panorama statunitense (Il Rap Spiegato ai Bianchi, Una Cosa Divertente che Non Farò Mai Più, Forza Simba!, Tutto e Di Più – Storia Compatta dell’Infinito, Considera l’Aragosta, Questa è L’Acqua, Di Carne e Di Nulla). È stato uno scrittore estremamente prolisso: solo Infinite Jest conta più di mille pagine di testo e cento di note.

DFW con cane
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DFW con cane

DFW nei campi dell'Illinois
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DFW nei campi dell'Illinois

DFW primo piano
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DFW in primo piano

DFW guarda qualcosa con occhi tristi dd
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DFW guarda qualcosa con occhi tristi

La scopa del sistema, Infinite Jest e la vita che ci sta attorno. Si laureò all’Amherst College in letteratura inglese e filosofia, con una tesi di logica modale e matematica, ma solo la letteratura, a detta sua, era in grado di impegnargli il cervello al 97 percento. Così, a soli 24 anni, scrisse il suo primo romanzo, La Scopa del Sistema, che lo consacrò come uno degli scrittori più promettenti nel panorama statunitense. Inizia un dottorato in filosofia ad Harvard, ma dopo pochi mesi viene ricoverato alla clinica psichiatrica McLean’s di Boston. L’esperienza verrà trasfigurata in Infinite Jest, dove alcuni dei protagonisti vivono nella casa di recupero per tossicodipendenti Ennet House, luogo che si contrappone all’altro polo chiave del romanzo, l’accademia tennistica Enfield, dove agonismo e competizione la fanno da padroni. È paradossalmente la clinica di recupero il luogo chiave in cui emerge l’importanza di valori come la pietà e la compassione. Infinite Jest viene pubblicato nel 1996 ed è unanimemente considerato il suo capolavoro. Il Time lo ha incluso nei 100 migliori romanzi in lingua inglese pubblicati dal 1923 al 2006.

Il Re Pallido, un’opera libera e inclassificabile. Scrisse e insegnò scrittura creativa in diverse università statunitensi per tutta la vita: prima tra i campi del “suo”Illinois, e poi, dal 2002, al Pomona College in California. Alla sua morte, sua moglie, Karen L. Green, trovò centinaia di pagine destinate a costruire un romanzo che David stava scrivendo. Il suo editore, Michael Pietsch, le mise insieme – quello che ne uscì è Il Re Pallido, ambiziosissimo progetto, un romanzo sulla noia i cui protagonisti sono agenti del fisco che lavorano all’agenzia delle entrate di Peoria, Illinois. In un articolo apparso sul Corriere, lo scrittore Paolo Giordano l’ha definita «un' opera straordinaria, ecco cos'è. Un'opera libera e inclassificabile, che del libro ha soltanto la forma anatomica e di cui intuiamo appena un briciolo della portata». In un capitolo, a pag. 404, tutti i protagonisti del libro si limitano a “girare una pagina”. Uno dopo l’altro, l’unica azione che compiono ripetitivamente è quella di girare una pagina. Lì in mezzo, Wallace ci “nasconde” una frase: «Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi». Un grido soffocato nelle file della vita moderna. La voce unica e inconfondibile di David Foster Wallace, forse di ogni essere umano.

 

http://youtu.be/Sq94OhMGh8M

 

[Qui sopra un video, sottotitolato in italiano, con una (bellissima) conferenza tenuta da Wallace alla cerimonia delle lauree del Kenyon College nel 2005. Si chiama Questa è l’Acqua.]

Alcune frasi e aforismi di Wallace.

«Sei speciale, e va bene, ma è altrettanto speciale il tizio al di là del tavolo che, da sobrio, sta crescendo i figli e restaura una Mustang del ’73. E’ una magia che ha 4 miliardi di forme. Una cosa da toglierti il fiato». “Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi“, di T.D. Max, biografia di David Foster Wallace,p. 449

«L’uomo si adattava al suo lavoro come uno si adatta alla precisa sacca d’aria che crea spostandosi». Il Re pallido, p. 13

«Avevamo un cagnone che mio padre teneva legato alla catena in cortile. Un mezzo pastore tedesco bello grosso. Odiavo quella catena ma non avevamo la recinzione, eravamo proprio sulla strada. Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L’aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane». Il Re pallido, p. 152

«La nostra piccolezza, la nostra insignificanza e natura mortale, mia e vostra, la cosa a cui per tutto il tempo cerchiamo di non pensare direttamente, che siamo minuscoli e alla mercé di grandi forze e che il tempo passa incessantemente e che ogni giorno abbiamo perso un altro giorno che non tornerà più e la nostra infanzia è finita e con lei l'adolescenza e il vigore della gioventù e presto anche l'età adulta, che tutto quello che vediamo intorno a noi non fa che decadere e andarsene, tutto se ne va e anche noi, anch'io, da come sono sfrecciati via questi primi quarantadue anni tra non molto me ne andrò anch'io, chi avrebbe mai immaginato che esistesse un modo più veritiero di dire "morire", "andarsene", il solo suono mi fa sentire come mi sento al crepuscolo di una domenica d'inverno...». Il Re pallido, p. 184

«Sono così bella che sono deforme». Infinite Jest

«La persona che ha una così detta "depressione psicotica" e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette "per sfiducia" o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un'occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l'altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano "No!" e "Aspetta!" riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta». Infinite Jest

«È possibile che gli angeli non esistano, però ci sono persone che potrebbero essere angeli». Infinite Jest

«La verità ti renderà libero. Ma solo quando avrà finito con te». Infinite Jest, p. 527

«Possiede la rara capacità di apprezzare a pelle la bellezza delle cose normali, una dote che la natura sembra concedere a quelli che non hanno parole per esprimerla». Infinite Jest, p. 645

«È sempre più difficile trovare arte che riguardi le cose vere. Più passano gli anni e più diventa difficile per Mario capire come mai tutti quelli che all’ETA sono più grandi di Ken Blott si trovano a disagio e si sentono imbarazzati di fronte alle cose vere. È come se esistesse una regola per cui le cose vere possono essere nominate solo se si roteano gli occhi o si ride come scemi». Infinite Jest, p. 788

«Quello che avviene dentro è troppo veloce, immenso e interconnesso e alle parole non rimane che limitarsi a tratteggiarne ogni istante a grandi linee, al massimo una piccolissima parte». Caro Vecchio Neon, nella raccolta Oblio

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