Adani spiega perché la Dea è la speranza del nostro calcio
Quando parla di calcio, è uno spettacolo starlo a sentire. Daniele Adani, ex difensore di serie A, oggi lavora come commentatore tecnico a Sky e segue con grande interesse tutto il calcio. In giro per gli stadi della penisola capita di incrociarlo e parlare di Atalanta: dopo la qualificazione in Europa League ha speso parole importanti per la realtà orobica e allora abbiamo deciso di farci spiegare fino in fondo il suo pensiero sulla stagione degli orobici. Mettetevi comodi, dalle emozioni della piazza alla splendida avventura nerazzurra, passando per alcune pillole sul calcio di Gasperini, Adani tocca tantissimi temi. E, come sempre, lascia quasi a bocca aperta.
Adani, dopo la gara con l’Everton hai detto che l’Atalanta è uno spot per il calcio italiano, la realtà che meglio ci rappresenta in Europa.
«L’Atalanta è il riassunto, la dimostrazione precisa di come, mantenendo saldi i propri principi, si può crescere e affermarsi nel calcio. Rappresenta la speranza per il nostro calcio, mette insieme il lavoro nel settore giovanile e gli acquisti mirati che hanno sempre un significato tecnico e non solo economico: a Bergamo non vengono fatti gli “affari” indipendentemente dal talento, le operazioni hanno l’obiettivo di mettere a disposizione le caratteristiche di un calciatore al corpo tecnico. Si tratta di una caratteristica importante: operando in questo modo non si perdono di vista gli obiettivi e capita poi anche di alzare pure l’asticella».
Come avvenuto con la conquista dell’Europa League...
«L’Atalanta è la squadra che ha preso il girone più difficile in Europa League eppure si è qualificata con un turno d’anticipo. Ha quasi ridicolizzato l’Everton, che sarebbe (in teoria) la prima squadra d’Inghilterra dopo le grandi ed è riuscita a rigenerarsi (nonostante qualche cessione) grazie ai suoi principi e rimanendo competitiva. Serietà, progettualità e una filosofia che paga sono qualcosa che merita di essere seguito e copiato soprattutto in questo momento in cui si parla di apocalisse per il calcio italiano. È la prima volta che uso questo termine, ma rende bene l’idea di dove siamo finiti: l’Atalanta anticipa le mosse e si proietta nel futuro, per me è il modello da seguire».
Il segreto è copiare?
«Lo stadio di proprietà, le magliette per i bambini e tutte le altre piccole grandi iniziative che hanno come obiettivo l’avvicinamento della società alla gente sono esempi da seguire, ma bisogna imparare prima di copiare. Se capisci una scelta, se ti poni con uno spirito libero e a cuore aperto e grande umiltà allora puoi davvero prendere l’Atalanta come modello e provare a replicarlo. Il coinvolgimento della città e il rapporto con i paesi della provincia sono basilari, io credo che una società di calcio debba avere una rete di cosiddette “succursali” che parlino più o meno la stessa lingua e diventino un appoggio importante serio e competente per il futuro. Si parte dai bambini e dalle famiglie, l’Atalanta lo fa e i risultati si vedono».
Alcune vittorie, ultimamente, hanno esaltato tutto l’ambiente.
«Attenzione, non parlo del tabellino. Penso da un po’ una cosa che non è condizionata dal 5-1 di Liverpool o dalla sconfitta di San Siro. L’Atalanta, a mio parere, gioca meglio dell’anno scorso. Ci sono difficoltà per le tante partite, per la rosa che magari non è la stessa delle grandi e che sulle tre gare in una settimana ogni tanto lascia qualcosa agli avversari. L’attenzione e la tensione ai massimi livelli a volte può calare, ti capitava di vincere da calcio piazzato e quest’anno quella giocata viene meno. Non è importante. Se parliamo di cultura calcistica, l’Atalanta è un esempio»
Torniamo a Liverpool: che cosa hai pensato guardando quei 3.500 tifosi impazziti a Goodison Park?
«Il calcio è un veicolo sociale tra i più importanti. Ci sono società che ti strappano sempre l’attenzione, magari uno è tifoso di un’altra squadra ma cerca sempre anche di capire e di seguire cosa succede in realtà più piccole che hanno sempre una loro identità. L’Atalanta rappresenta in pieno questo concetto. Il calcio unisce ceti sociali, razze, colori, posizioni, ruoli, sessi e tutto il resto. Non ci sono differenze, è una passione contagiosa. Tante volte è anche una sorta di riscatto. Io ho visto la gioia negli occhi della gente dell’Atalanta a Goodison Park, si capiva che c’era una felicità sincera che fa stare bene tutti. Anche chi osserva da fuori».
Dove possiamo arrivare in questa stagione?
«In campionato è difficile dirlo, la classifica racconta che il Bologna sta facendo bene, il Torino anche e la Sampdoria pure. Complicato dire se l’Atalanta può agganciare il settimo posto, il sesto o l’ottavo. Credo che i 72 punti e il quarto posto siano impossibili da migliorare e forse anche eguagliare, direi che se i nerazzurri arrivano nella parte sinistra della classifica va più che bene. In Europa League, invece, libero spazio ai sogni. Questa è una squadra che non deve cercare di realizzare un sogno, lo sta vivendo al 100 per cento il suo sogno e c’è dentro fino al collo. Dai Sedicesimi in avanti, questa squadra può essere davvero una mina vagante. Per tutti. Ora è importante giocarsi il primo posto, attenzione perché non è un dettaglio».
Gasperini ogni volta ci stupisce, secondo te ha altri conigli pronti ad uscire dal suo cilindro?
«Il lavoro che sta facendo è grandioso, non posso dire se ce ne sono altri che possono uscire dal suo cilindro perché alcuni ragazzi dobbiamo ancora vederli. Immagino non sarà facile, ci sono elementi che stanno facendo cose ottime come ad esempio Palomino che scende in campo e accorcia a 50 metri dalla porta, oppure lo stesso Toloi. Gasperini lavora tantissimo e ha quei 13-14 giocatori che ruota molto e su cui punta, Castagne è entrato ora nelle scelte ed è molto migliorato, ma ci sono ragazzi come Haas o Schmidt che ancora dobbiamo scoprire. Una cosa però possiamo dirla con certezza: quando li vedremo in campo sarà perché lo meriteranno davvero e difficilmente sbaglieranno».
Grandi meriti del tecnico, insomma.
«Sicuramente, perché anche lui è un esempio da seguire. Prima di tutto, bisogna dirlo, lui è uno che fa cose che non fa nessuno: che risultati portano? Risultati che non fa nessuno. La valutazione di quello che ottieni in campo va ponderato pensando a quanto hai speso, quanto hai migliorato il valore collettivo e quello singolo di ogni giocatore. Gasperini riesce a fare tutto questo attraverso un gioco particolare, nessuno muove la difesa come la muove lui e soprattutto quando dico che la squadra gioca meglio è perché ha più variabili».
Approfondiamo.
«Può giocare con una punta di peso, il Papu e un centrocampista oppure può inserire Ilicic che è un trequartista e parte defilato per poi stringere (soluzione che l’anno scorso non c’era), ma si può anche andare in campo con due “grossi” come Petagna e Cornelius. In mezzo al campo ci sono più variabili, da Cristante che segna tanto a Kurtic che funge da “equilibratore” e questi sono solo alcuni elementi di una varietà che ha migliorato il gruppo: a me - ripeto - la squadra piace ancora di più dell’anno scorso».
Proviamo a spiegare Gasperini dicendo 3 cose che sono solo del suo calcio?
«Con piacere. La prima: nessuno porta uno dei tre centrali così fuori dalla difesa, indipendentemente dal sistema di gioco degli avversari. L’avanzata del difensore provoca molto fastidio agli avversari: si muove da centrocampista con lo spirito del difensore quindi aggredisce e cerca di recuperare palla trasformandosi in attaccante aggiunto una volta che viene recuperato il possesso. Lo faceva già al Genoa e lo sta riproponendo anche a Bergamo. Con ottimi risultati».
Ecco perché siamo sempre in superiorità. Avanti...
«La seconda: quando l’Atalanta sviluppa il suo gioco e arriva sugli esterni sia con i giocatori di gamba che dal Papu Gomez che si allarga e poi prova ad innescare il destro, il resto della squadra accompagna in area di rigore con tantissimi giocatori. Forse, è la squadra che ne porta più di tutti verso la porta: entra un centrocampista, c’è la punta centrale, si inseriscono gli esterni e pure la terza punta che staziona sul versante opposto rispetto alla palla. In aggiunta, se l’azione nasce da una ripartenza, anche il centrale che fa il “break” diventa una punta. Restano fuori de Roon o Freuler e i due centrali: parliamo di 6-7 elementi coinvolti nell'azione d’attacco».
All’arrembaggio. L’ultima?
«La terza: l’Atalanta, rispetto al Genoa di Gasperini, fa tanto possesso palla. La squadra ha tantissima intensità, ma il ritmo non è sempre lo stesso. Con il Benevento, rivedendo la partita su WyScout, ho notato conclusioni che sono arrivate dopo 15-17 passaggi di fila: questo significa giocare a calcio. Gasperini fa giocare le squadre sempre a mille? È parzialmente vero, il giro-palla a volte inizia dai difensori e tutti cercano di toccarla in modo costruttivo correndo molto. È importantissimo sottolinearlo: se fai possesso palla ma vai a rilento, non sei efficace mentre l’Atalanta cambia sempre ritmo. Stupendo».
Ultime due curiosità, la prima su Petagna. Gioca bene ma segna poco, cosa ne pensi?
«Petagna esalta il gioco di Gasperini, è perfetto per quel tipo di manovra e per tutto quello che abbiamo detto prima. Tante volte gli vedo fare cose che solo i grandi giocatori fanno, cambi di campo a 40 metri dalla porta con tutti e due i piedi e anche un grande lavoro di protezione. Sul gioco è molto focalizzato, nulla da dire. Però dico anche che deve aumentare il bottino, è un ragazzo del 1995 e non vedo perché non debba provare a farlo, soprattutto per la sua crescita personale. Non puoi trovare sempre i gol degli altri, Petagna ci arriva in zona tiro, ma deve migliorare».
Dei giocatori in prestito a farsi le ossa, c’è qualcuno che ti stuzzica?
«Capone è un ragazzo molto interessante, credo che sia uno che deve fare carriera. L’Atalanta ha una caratteristica importante quando si parla di giocatori bravi: il talento si aspetta. Indipendentemente dal ruolo. Lui è uno che ha stoffa, il passaggio da Zeman sarà importante e magari ce ne sarà un altro. Di certo, Cristante è l’esempio migliore di come i giocatori bravi, prima o poi, escono: quindici partite in due anni dopo essere andato al Benfica, poi il Pescara e adesso è venuto fuori. Serve pazienza, il tempo non manca e Capone è un ragazzo che deve uscire».