Se usate un sacco di avverbi forse è perché siete stressati

Al linguaggio, all’uso di alcune parole, avverbi soprattutto e pronomi nel parlato quotidiano, non si fa mai attenzione. A maggior ragione quando si è vittime dello stress e, quindi, della stanchezza fisica o psicologia, dei cambiamenti di umore e del nervosismo. Recentemente, un gruppo di ricercatori dell'Università della California e di quella dell'Arizona, con uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, hanno dimostrato che anche il linguaggio può essere rivelatore di quanto siamo sotto pressione e di quanto sia stata faticosa, soprattutto dal punto di vista psicoemotivo, la nostra giornata.
La funzione "stressante" del linguaggio. Nessuno, a dire il vero, lo sospettava. Invece oggi la notizia sembrerebbe certa: la scelta inconsapevole che facciamo di determinate parole è un potenziale campanello di allarme di uno stato tensivo, stressante. Magari passeggero, ma pesante. Insomma tutta la tensione che ci portiamo dentro verrebbe a galla, manifestandosi pienamente attraverso la parola; fateci caso quando vi capiterà. I ricercatori sostengono, ad esempio, che se siamo stressati facciamo un uso maggiore di avverbi quali "veramente" e "incredibilmente". Come mai? Questi sono definiti "intensificatori emotivi", che in modo inconscio ci aiuterebbero a gestire meglio lo stress; insomma, è come se facessimo evaporare una parte di stanchezza o nervosismo in una nuvola di parole. Sembrano un po’ i fumetti, invece è una cosa seria. Anche l’uso dei pronomi è importante, perché quando siamo stressati passiamo più facilmente da quelli plurali, come "loro" o "noi", a quelli singolari, segno di una maggior concentrazione sui nostri personali bisogni piuttosto che su ciò che ci accade intorno. E questa correlazione tra parola, cervello ed emotività è stata dimostrata attraverso un semplice esperimento su un gruppo di volontari.
Lo studio. Gli americani hanno reclutato 150 persone, adulte e di entrambi i sessi, cui è stato chiesto di indossare dei registratori accessi ogni due minuti per due giorni interi, in modo da avere a disposizione una vasta gamma di brevissime clip. Per la precisione, più di 22.600 clip alla fine dell’esperimento. Le analisi si sono focalizzate soprattutto nel ricercare con quale frequenza ricorressero determinati avverbi, pronomi personali singolari, ma anche alcuni aggettivi. Termini che, in apparenza, potrebbero essere insignificanti, e invece potenzialmente capaci di dirci se nella persona sono in atto o si stanno verificando cambiamenti, soprattutto emotivi, legati allo stress.
C’entra anche il cervello. Non è tutto; manca infatti l’ultimo passaggio, quello più importante che associa questo fenomeno a un elemento cerebrale. I ricercatori hanno voluto capire l’eventuale associazione tra l’uso delle parole e l’attivazione di specifiche aree cerebrali, attesa che non è stata tradita. Confrontando il linguaggio di ogni volontario con l’espressione di cinquanta geni notoriamente legati allo stress e a stati tensivi, è stato così scoperto che l’uso di alcune parole potrebbe anticipare un alterato stato emotivo, rivelando cambiamenti con derivazione stressogena anche sul Dna. Chissà a cosa potrà portare in termini di cura questa scoperta.