lndipendenza, la Scozia si prepara
Si scalda il clima in Scozia a tre mesi esatti dal referendum che il prossimo 18 settembre chiederà ai cittadini che vivono al di là del Vallo se continuare a far parte del Regno Unito o diventare indipendenti. L’ultima voce a schierarsi è stata la scrittrice J. K. Rowling, “madre” di Harry Potter: l’autrice, inglese ma assai popolare tra Glasgow ed Edimburgo dove ha vissuto per 21 anni, ha donato un milione di sterline per sostenere la campagna del “no” all’autonomia scozzese, paragonando gli indipendentisti ai “mangia morte” della sua fortunata serie letteraria, poiché «vogliono demonizzare chiunque non sia pro-indipendenza». Ben più piccato è stato invece il laburista Alistair Darling, leader del movimento anti-indipendenza “Better Together”: in un’intervista ha detto che Alec Salmond, premier scozzese e promotore del “sì”, e si sta comportando come l’ex-dittatore nordocreano Kim Jong-Il, creando una “cultura dell’intimidazione” attorno a questo voto.
Insomma i motori si scaldano attorno al voto scozzese, tra le speranze di chi vuole l’autonomia e le perplessità (specie inglesi) di chi non vuole spaccare il Regno. Al di là dei dibattiti, per Salmond c’è altro da pensare: prima di tutto ai sondaggi, nelle ultime settimane molto meno aspri delle battute dei rivali. Tra meno di 100 giorni la Scozia sarà alle urne e i “sì” al momento sono il 43%, con ancora un 12% di votanti indecisi su dove mettere la propria croce. Un dato che dà gli indipendentisti ancora in svantaggio, ma che continua a crescere verso il fatidico 50%, dando sempre più speranze a chi sogna un’autonomia che qualche mese fa pareva solo un’utopia. Un fronte compattatosi dietro a Salmond e al suo Scottish National Party, armato di orgoglio e identità nazionale, e supportato dalle ricchissime ragioni offerte dai giacimenti petroliferi che arricchiscono le coste scozzesi a largo di Aberdeen.
Nelle acque del Mare del Nord il petrolio fu trovato ormai più di quarant’anni fa e per la Scozia quei pozzi sono diventati manna dal cielo: da lì arriva il 70% della risposta al fabbisogno energetico del Paese, con un giro di soldi ovviamente ingente che non tutti gli scozzesi sono disposti a continuare a versare nelle casse del Regno Unito. Nel 2013 le tasse legate al petrolio hanno maturato un “tesoretto” di 7 miliardi di sterline: se invece di finire a Londra andassero a Edimburgo la Scozia avrebbe il sesto pil pro-capite mondiale, e diventerebbe una nuova Norvegia. Fattori che suscitano indubbiamente interesse tra gli elettori, sebbene non convincano tutti. I giacimenti, infatti, non sono infiniti: di anno in anno le estrazioni calano e i prezzi aumentano, e c’è il rischio che già solo tra 50 anni i pozzi siano vuoti. Con l’indipendenza poi, tante banche e aziende hanno annunciato che lasceranno la Scozia.
E infine c’è un ultimo punto che spaventa gli scozzesi indecisi, quello della moneta: difficile che gli inglesi concedano il mantenimento della sterlina ad una Scozia sovrana. E non è immediato che la Commissione Ue ammetta immediatamente il Paese nell’area Euro. Tuttavia, ad essere più impauriti sono gli inglesi. Perché l’indipendenza della Scozia sarebbe un autentico terremoto, e non solo dal punto di vista economico: una vittoria dei “sì” darebbe una nuova spinta ai movimenti indipendentisti degli altri stati del Regno Unito, Irlanda del Nord in testa (lo Sinn Fein, partito repubblicano irlandese, ha già annunciato la proposta di un referendum per riunificare l’Irlanda nel 2016). E indirettamente porterebbe ad acuirsi la distanza tra Inghilterra e Unione Europea: perché, se indipendente, nel 2017 la Scozia andrà a votare anche per entrare nell’Ue, con gran parte degli elettori favorevoli.