La dimenticata guerra d'Ucraina
È il 21 Novembre 2013 quando il movimento di protesta Euromaidan compare in Ucraina, all’indomani della sospensione da parte del governo di un accordo di associazione con l’Unione Europea. Dopo settimane di sit-in e manifestazioni, nel febbraio 2014 l’Euromaidan riesce a far deporre il presidente Viktor Yanukovich, filo-russo e colpevole di aver tenuto nei confronti dei manifestanti una linea durissima, che ha causato la morte di decine di civili.
La parte orientale del Paese, storicamente vicina alla Russia, teme però un distaccamento netto da Mosca e un ritorno al nazionalismo. Così il 6 aprile 2014 dei manifestanti si impadroniscono di alcuni palazzi governativi dell’Ucraina Orientale, chiedendo un referendum per definire lo status dei territori, mentre due repubbliche ucraine, quella di Donetsk e quella di Lungansk, iniziano una rivolta armata prendendo il controllo di varie città. Il 15 maggio, a seguito di un referendum popolare, la Russia allunga la sua mano sulla Crimea, che torna ufficialmente sotto la giurisdizione di Mosca. In poche settimane il Sud Est dell’Ucraina è ufficialmente territorio di guerra tra le Forze Armate Ucraine e i ribelli separatisti delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.
Dopo scontri violenti, il 5 settembre 2014 viene firmato un accordo, il Trattato di Minsk, per il cessate il fuoco e lo scambio dei prigionieri. Nonostante ciò i combattimenti proseguono, tanto che nel gennaio 2015 si giunge a una situazione di ostilità su vasta scala. Si tratta ormai di un conflitto che riapre il vaso di Pandora delle tensioni geopolitiche internazionali. Così, mentre la Russia appoggia i separatisti, gli Stati Uniti iniziano a formare l’esercito ucraino, con un’azione apparentemente ispirata da motivazioni antiterroristiche.
Per tentare di porre riparo alla situazione e far fronte alle drammatiche condizioni dei civili, il 12 febbraio 2015 viene firmato l’Accordo Minsk 2, che prevede l’immediato cessate il fuoco e il ritiro delle truppe, optando per una soluzione politica al conflitto. L’Ucraina avrebbe dovuto adottare una riforma costituzionale per rafforzare lo statuto speciale di Donetsk e Lugansk, dove si sarebbero dovute svolgere delle elezioni. All’Ucraina sarebbe tornato il controllo del confine con la Russia.
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Il processo di pace, però, non ingrana, le elezioni non vengono indette (i rappresentanti dello Stato Ucraino ritengono infatti che la società civile non sia ancora pronta) e la situazione si fa confusa: non vengono portate avanti operazioni militari su larga scala, ma si oscilla tra periodi di tregua e escalation di violenza. Il numero di vittime colpite da carri armati e artiglieria è altissimo, mentre i ribelli separatisti vengono riforniti, come ormai apertamente dichiarato dal Presidente Putin, di armi sofisticate dalla Russia.
Un altro cessate il fuoco è entrato in vigore il 1° settembre 2016, ma molte voci autorevoli ritengono che la situazione nel Donbass (la regione industriale dove teatro del conflitto) non si sbloccherà a meno che gli Stati Uniti, alleato chiave dell’Ucraina, non parteciperanno attivamente, spostando la propria attenzione dalla Siria all’Ucraina.
L’Ucraina è ormai un Paese devastato, dove le vittime sono più di diecimila e gli sfollati interni quasi due milioni, gli scontri armati sono quotidiani e la maggior parte delle scuole distrutte. Una crisi umanitaria gravissima ma spesso dimenticata, mentre l’attenzione della comunità internazionale viene catturata da altri temi, come l’ascesa dello Stato Islamico, gli attentati nelle città europee e la crisi di migranti derivata dal conflitto in Siria. Così, mentre gli ucraini più vicini all’Occidente cercano in tutti i modi di integrarsi in Europa con la speranza che l’influenza di Bruxelles migliori le condizioni economiche e sociali ucraine, la situazione è completamente ribaltata nell’est del Paese, dove gran parte della popolazione continua a sognare Mosca.