I bergamaschi sono "figli di Troia"?

In copertina: Federico Barocci, Enea e Anchise in fuga da Troia in fiamme.
Da quanti anni esistono i bergamaschi? Da quanti secoli gli uomini sono arrivati in questa nostra terra? Decine di migliaia di anni. I primi abitanti della Bergamasca hanno dovuto vedersela con animali oggi estinti, come il mammut. Roba di ventimila, trentamila anni fa. Erano i tempi dei cacciatori raccoglitori, vita nelle grotte, nei ripari naturali, pietre scheggiate, lavorate. Materiali di questo tipo sono stati ritrovati in vari punti della Bergamasca, sui pendii del monte Misma, per esempio, al margine della pianura. Gli uomini di allora non si spingevano su per le valli più impervie e nemmeno amavano troppo la pianura con le sue paludi, le sue insidie, gli scarsi ripari, la foresta. Ma queste scoperte sono del Novecento.
Da chi discendono i bergamaschi. Indietro nei secoli non si sapeva nulla di chi fossero i primi bergamaschi e la storia lasciava il posto al mito, alla mitologia. Ce n’era per tutti i gusti. Chi diceva che discendeva direttamente dai Greci, chi vantava origini dal popolo Ligure che a sua volta deriverebbe da popolazioni del Medio Oriente. E chi arrivava a sostenere che i bergamaschi discendessero direttamente dai Troiani. Ma non solo i bergamaschi: in periodo di recupero dell’età classica, in particolare nel Quattrocento e Cinquecento, diverse città (e famiglie nobili) vantavano tale discendenza. Anche perché Troia fu attaccata e distrutta dai Greci e molti troiani riuscirono a fuggire, sui barconi, come i profughi di oggi. Quindi approdarono su varie coste, anche italiane, e poi si avventurarono nell’entroterra, certamente meno popolato. Ci sta, è una ricostruzione verosimile. Sarebbe un po’ come se i profughi della Siria di oggi andassero nei paesini dell’Arco Alpino, ormai spopolati o deserti, e rilanciassero l’economia della montagna, riportassero il bestiame, riprendessero le coltivazioni, le tradizioni mescolandole alle loro. Sarebbe verosimile, no?
Pompeo Batoni, Enea in fuga da Troia
Bellafino e l'origine troiana. Il fatto è che nel 1532 il cancelliere di Bergamo, Francesco Bellafino, pubblicò un testo dal titolo De origine et temporibus urbi Bergomi, dove appunto sosteneva l’idea che la nostra città discendesse da quella nobile stirpe. L’argomento è stato ripreso da un saggio di Enrico Valseriati, edito da Archivio Bergamasco nei mesi scorsi. Il saggio ha per titolo: Figli di Ilio. Litografia e identità civica a Bergamo nel primo Cinquecento. Valseriati cerca di spiegare anche la formazione del Bellafino, che era sì cancelliere della nostra città, ma era anche un erudito, un intellettuale dell’epoca che intratteneva rapporti con diversi studiosi bergamaschi e italiani.
Erano gli anni in cui si riconsiderava il valore delle antiche pietre, e c’era chi avviava la raccolta delle epigrafi, riconosciute importanti come testimonianza della storia romana. Lo stesso Bellafino era un esperto di epigrafia latina e pure se ne intendeva di testi greci. Il cancelliere era ispirato evidentemente da una grande passione civica oltre che da passione per i classici: come accadde in diverse città e in diverse nobili famiglie, l’unione di queste passioni condusse alla “scoperta” di origini antiche, talvolta mirabolanti. Per dire, anche Trapani dichiarava di essere stata fondata dai Troiani, addirittura da Enea, Ercolano da Ercole (ovvio), pure Lecce aveva a che fare con i Troiani. Bellafino interpreta le fonti antiche, legge i classici e afferma che i Veneti discendevano dai Troiani in fuga, condotti da Antenore fino al termine del mare Adriatico. Ma i Troiani-Veneti non si fermarono alle sponde, si espansero nell’Italia del Nord, raggiunsero le nostre colline e ricordando la città di Pergamo, vicina alla loro Ilio, diedero un nome simile alla nostra, chiamandola “Pergomum”.




Altre ricerche. Oggi il semplicismo della spiegazione fa sorridere. Ma in realtà ci sono degli aspetti importanti: prima di tutto ci si domanda da dove veniamo. È la conferma del risorgere di una mentalità indagatrice, che porterà allo sviluppo della nuova scienza. In secondo luogo si cerca la risposta a questa domanda sulla base dei testi, quindi su una base storica. Terzo punto: si guarda con occhi nuovi, non tanto medievali alla propria tradizione, al senso della comunità. Nei secoli successivi, la ricerca diventerà sempre più seria e intensa; le prime scoperte importanti in Bergamasca si ebbero nell’Ottocento, per esempio con il ritrovamento del sito di Parre. Oggi sappiamo che la zona di Bergamo intorno al sesto secolo rientrava nella cultura di Golasecca, età del ferro, e che ebbe rapporti stretti sia con i Celti che con gli Etruschi.
Tracce Camune. A questo proposito, in Alta Valle Brembana, sopra Carona, sui duemiladuecento metri di quota, oltre il passo della Selletta, negli ultimi dieci anni sono state rintracciate incisioni rupestri con lettere in alfabeto nord etrusco. Ma perché tutti quei graffiti? Perché in un posto così lontano e impervio duemila e cinquecento anni fa passavano le genti? Mistero. Andando indietro nel tempo, i misteri si infittiscono. Le ricerche effettuate sul colle di Bergamo, sotto il Duomo, hanno confermato che la zona era abitata già nel neolitico, tre-quattromila anni prima di Cristo. Sono stati trovati nel sottosuolo semi e pollini. Dai testi di Plinio il Vecchio sappiamo che al tempo dei romani ci si riferiva alle genti delle montagne bergamasche e lombarde come discendenti degli antichi Orobi, e che Parre era un luogo fortificato, e molto ben conosciuto. Era l’oppidum degli Orobi. Quello che oggi è abbastanza certo è che sulle nostre montagne passarono i Camuni e quindi i Celti, prima dell’arrivo dei Romani. Sono stati rintracciati segni dell’alfabeto Camuno su nei pascoli oltre la Selletta, ma la traduzione del Camuno è impossibile, per ora. Non paiono segni indoeuropei, non si conosce la provenienza di questo popolo che, certamente, con le genti bergamasche più antiche di certo aveva avuto stretti rapporti.