Ciao, io vado in Mongolia passando per Capo Nord
Da Bergamo a Capo Nord; da Capo Nord alla Mongolia. Tutto questo in bicicletta. In quanto tempo? Non si sa, e non importa, quando per anni hai lavorato sodo per mettere da parte un budget sufficiente a non porti questo problema; non si sa, e non importa, quando il desiderio è dimostrare prima a sé stessi, e poi agli altri, che è possibile scegliere un’altra vita rispetto a quella del lavoro e degli schemi; non si sa, e non importa, quando la meta è l’ultimo dei pensieri, quando quello che conta è scoprire di giorno in giorno dove si dormirà quella notte: se con la tenda piantata nell’angolo più lontano dei campi di un fattore francese o se nel comodo letto del governatore di un cantone svizzero. Insomma, questa è l’impresa di Davide Zandonella, un ragazzo bergamasco di ventitré anni che due mesi e mezzo fa ha deciso di mollare tutto – ma proprio tutto – e dire: «Ciao, vado in Mongolia, non so quando torno». Quando lo chiamiamo ci risponde dalla Norvegia.
Ciao Davide, come sta andando? A che punto sei?
«Tutto bene, me la sto godendo: ora sto puntando a Capo Nord. Quella è la prima vera tappa, ma è ancora abbastanza lontana. Poi inizierò a scendere, e conto di essere dalle parti di Grecia o Turchia per l’inizio dell’inverno».
Il tuo percorso fino ad oggi?
«Sono passato dalla Svizzera e dalla Francia, attraversandola lungo il corso della Loira; poi ho seguito la costa settentrionale fino ad arrivare in Germania e poi in Danimarca. Da lì ho preso un traghetto, e ora sto risalendo la Norvegia. Al momento sono ancora piuttosto a sud».
Ma una tua giornata tipo?
«Parlare di “giornata tipo” quando l’unica cosa che sai alla mattina è dove ti sei svegliato non è per nulla facile. In generale in media pedalo cento chilometri al giorno. Ma me la sto prendendo con calma, e ad esempio se sono in una città che mi piace o se ci sono cose interessanti da fare, mi fermo anche due o tre giorni. Questo è anche il motivo per cui non mi sono posto dei limiti di tempo: ricordo che quando ero in Islanda avevo dovuto rinunciare ad alcune esperienze proprio per questioni di tempo, e non volevo succedesse anche questa volta».
Cioè?
«Quando sono andato in Islanda, sempre in bicicletta, ancora lavoravo: avevo chiesto un mese di ferie, e quindi quello era il tempo che avevo a disposizione per fare tutto quanto. Ero stato ospitato da un fattore proprio nel periodo in cui in Islanda si riuniscono le greggi fino a quel momento lasciate al pascolo. Mi avevano chiesto una mano, e ho dovuto rifiutare: un’esperienza che rimpiango tantissimo, perché quello è un esempio di cosa significhi entrare a contatto con la cultura dei posti in cui viaggi. In questa occasione avrei potuto chiedere, ad esempio, un anno di aspettativa nel ristorante dove avevo anche un contratto a tempo indeterminato come cuoco, ma ho preferito concedermi la libertà più assoluta di decidere i tempi, i luoghi dove fermarmi e per quanto stare nei posti che attraverso».
Come sei organizzato per il cibo e per la notte?
«Mi sono dato un budget di cinque euro al giorno per mangiare, di conseguenza campo di supermercati, se così si può dire. Insomma, lo stretto indispensabile. Poi mi affido a un sito chiamato warmshower: un sito in cui gli iscritti offrono ospitalità ai cicloturisti. A volte capita anche che...»