Ha un volto il boia dell'Isis Gli sporchi affari col petrolio
Al mondo non è dato (giustamente) saperlo, ma agli alti vertici dell’Fbi sembrerebbe esserci, finalmente, un preciso volto e un preciso nome del boia di James Foley, Steven Sotloff e David Haines. Sull’anglofonia dell’esecutore jihadista c’era certezza già da diverso tempo, cosa che aveva permesso di restringere notevolmente i limiti della ricerca; e ora le indagine hanno portato sul tavolo di James Comey, direttore del bureau federale americano, un’identità definita.
Tremila volontari dall’Europa. Nel frattempo, rimbalzano notizie sempre più preoccupanti: stando alle dichiarazioni del coordinatore europeo contro il terrorismo Guilles De Kerchove, sono addirittura 3 mila i volontari che da diversi Paesi europei sono partiti alla volta di Iraq e Siria per unirsi alle fila dell’Isis. L’aspetto più critico riguarda un probabile rimpatrio che tutti questi neofiti del Califfato tenteranno nei prossimi tempi per poter poi architettare attentati terroristici direttamente in Europa, dopo essere stati adeguatamente istruiti e muniti degli armamenti necessari in Medio Oriente. Un reclutamento massiccio, quasi misterioso nelle sue inspiegabili dinamiche. Il problema principale è dato dal fatto che, mentre fino a pochi anni fa il proselitismo dell’Islam jihadista avveniva in luoghi ben determinati (come le moschee) e quindi facilmente monitorabili, oggi tutto questo avviene nello sterminato e incontrollabile mondo del web. Social network, chat private, siti sconosciuti ai più: sono questi i nuovi strumenti di aggregazione che lo Stato islamico sta sfruttando con grande successo. Questi mezzi permettono, oltretutto, di raggiungere soggetti decisamente più giovani rispetto, ad esempio, ai proseliti di Al-Qaeda di 10 anni fa. Questo significa gente più motivata, più plasmabile e, perché no, fisicamente con maggiori possibilità. Si tratta di individui spesso digiuni del vero pensiero islamico, per quanto si professino sostenitori di una guerra a tinte anche religiose; quest’ultimo è un elemento paradossalmente secondario, visto che ciò per cui partono è più un desiderio di un facile eroismo o di un’appartenenza a qualcosa di grande, piuttosto che per un reale credo.
La cartina mostra quali pozzi petroliferi controlla già l'Isis e quali sta ora puntando
I profitti dal contrabbando di petrolio. Oltre ai noti (per esistenza ma non per provenienza) finanziamenti che arrivano allo Stato Islamico da privati e Paesi, il Califfato ha da qualche tempo iniziato a sfruttare una fonte di sicuro e ben più ingente guadagno: il petrolio. Le truppe dell’Isis hanno infatti concentrato parecchi sforzi per riuscire ad avere il controllo di molte raffinerie sui territori di Iraq e Siria, così da poter sfruttare la produzione di greggio e trarne un profitto. Sono numerosi gli acquirenti internazionali che trattano con il Califfato per interessi legati all’oro nero, muovendosi sul mercato nero e con azioni di contrabbando. Un giro d’affari floridissimo, che permette allo Stato Islamico di incamerare qualcosa come 2-3 milioni di dollari al giorno grazie alla vendita di 300-500 barili quotidiani, soldi che, naturalmente, vengono prontamente reinvestiti in armi e arruolamenti. L’indipendenza economica è forse il primo obiettivo strategico che il gruppo terroristico si era posto, quando aveva cominciato l’offensiva per fondare il suo Califfato. Lo scopo non è solo quello di incassare contante e finanziare le proprie attività militari, ma anche quello di prendere il controllo del cuore della produzione energetica mondiale. I soldi, infatti, aiutano ad attirare i jihadisti stranieri, con cui allargare il territorio controllato, puntando verso l’Arabia Saudita. Se questa strategia funzionasse, secondo i calcoli di Luay al Khatteeb del Brookings Doha Center, l’Isis metterebbe le mani sul 60% delle riserve petrolifere mondiali, e sul 40% della produzione attuale di gas e greggio.
Parlamento britannico: ok per i raid aerei. Nel frattempo anche il Regno Unito si è aggiunto a Francia e Stati Uniti d'America nei bombardamenti sull'Isis. Il Parlamento britannico ha approvato la decisione del governo di David Cameron. Gli attacchi, secondo la stampa britannica, potrebbero partire già nelle prossime ore. L'esecutivo giustifica la scelta parlando di «atti brabari» da parte dell'Isis e di esplicite richieste d'aiuto provenienti dalla autorità irachene. Sono esplicitamente escluse dalla mozione le azioni via terra e i radi sul territorio della Siria. La macabra decapitazione dell’ostaggio britannico David Haines, secondo il primo ministro David Cameron, «ha mostrato che non si tratta di una minaccia lontana», e per questo bisogna fermare l'Isis «perché è una minaccia» diretta alla Gran Bretagna. Il Regno Unito, da questo momento, potrà combatterla.