Il film da vedere nel weekend La casa delle bambole, terrificante
Regia: Pascal Laugier.
Con: Crystal Reed, Taylor Hickson, Rob Archer, Emilia Jones, Adam Hurtig.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.
Lo si è detto abbastanza recentemente in relazione a un film straordinariamente inquietante come Hereditary, ma conviene ripeterlo ancora una volta: quello della bambola è un oggetto intimamente inquietante, attorno al quale il cinema horror ha da sempre costruito parte della propria carica fascinatoria e inquietante. Questo è vero soprattutto perché la bambola, esattamente come altri oggetti umanoidi (ad esempio l’androide), costituisce una sorta di avatar dell’umano, un suo doppio, dal quale si differenzia per dettagli minuti e non sempre evidenti. Così, se in un film come Annabelle è la bambola stessa a diventare entità perseguitante, in altri casi essa si fa tramite per l’apertura di una dimensione oscura e inquietante. È il caso, fra gli altri, del film La casa delle bambole, che dopo un’intensa campagna promozionale, sbarca finalmente al cinema. A dirigerlo è Pascal Laugier, vero e proprio genio dell’horror contemporaneo: sua è infatti la firma su quel piccolo capolavoro che è Martyrs, uno dei film che più ha contribuito al rinnovamento dei canoni della paura in Europa (prima dell’infelice remake statunitense). Protagonista è una ragazza di nome Beth, fortemente appassionata della scrittura horror, e di Lovecraft in particolare. Osteggiata dalla sorella maggiore ma incoraggiata dalla madre nel seguire il suo talento naturale, la giovane va a vivere con la famiglia nella casa appartenuta alla zia Clarissa, colma di bambole. Un evento traumatico scuoterà le loro vite in modo irreversibile e ritroveremo le protagoniste anni dopo, quando saranno chiamate a fare i conti con il loro passato.
Così, le dimensioni temporali si confondono e il rapporto fra realtà e finzione, umano e avatar, si fa sempre più indiscernibile: è come se il potere confuso della bambola in quanto figura antropomorfa cominciasse a infettare tutta la superficie del film. Lo stile adottato dal regista è raffinatissimo e utilizza la sintassi cinematografica per veicolare continui e repentini cambi del punto di vista, prospettive improbabili o impossibili e in generale per veicolare il senso di un incubo che si fa sempre più materico. Rispetto alle sue opere precedenti, la sua ricerca si arricchisce qui soprattutto per la capacità di introspezione psicologica dispiegata nella rappresentazione delle tre protagoniste e del loro rapporto: ogni personaggio acquisisce una fisionomia completa e la dinamica delle sensazioni è sempre ambigua e sorprendente. Dal punto di vista visivo, poi, non si contano gli omaggi e le strizzate d’occhio più o meno evidenti a tutto quel cinema che il regista non ha mai nascosto di amare, dai classici del modern horror americano sino a figure più contemporanee come Rob Zombie.
Ne deriva una pellicola dotata di un ottimo ritmo e che si caratterizza per un crescendo repentino di emozioni e colpi di scena. Attraverso la rappresentazione della protagonista scrittrice, poi, il regista pare voler far passare il messaggio della dignità artistica del genere che pratica con tanta passione e coscienza: esattamente come i racconti di Lovecraft, anche un film horror può essere (finalmente e a buon diritto) considerato un buon oggetto artistico, un pezzo importante della storia del cinema. In definitiva, dunque, siamo di fronte ad un horror di altissimo livello, capace di muovere le corde degli spettatori in modi imprevisti e - soprattutto - di tenerli incollati alla poltrona.