Kobane resiste all'assedio
Difficile capire cosa stia davvero accadendo a Kobane. Le notizie che arrivano sono frammentate e confuse. Si sa con certezza che i miliziani dell’autoproclamatosi calliffo al-Baghdadi lunedì hanno issato la bandiera nera, loro simbolo, alla periferia est della città e su una collina, per tenere sotto scacco la città e per dare un chiaro monito ai turchi, il cui esercito ancora non si muove. Il Wall Street Journal ha commentato la notizia dicendo che è una chiara provocazione, e che la bandiera nera ben visibile da dentro la Turchia, stato membro della Nato, significa che l’Isis “ha piantato la sua bandiera nera sulla porta di ingresso della Nato”. L’esercito turco, nell’Alleanza Atlantica è il secondo per importanza. Per questo la Nato è pronta a difendere la Turchia mettendo a disposizione anche i missili Patriot e giovedì il neosegretario Jens Stoltenberg arriverà giovedì ad Ankara per discutere con le autorità turche della minaccia alla sicurezza rappresentata dall’Isis.
Erdogan invoca un intervento di terra. Il premier turco Recep Tayyp Erdogan è ormai sicuro che la città curda stia per cadere definitivamente in mano ai jihadisti del sedicente Stato Islamico. Per questo invoca un intervento di terra, in Siria e in Iraq: «Il terrorismo – ha detto Erdogan durante una visita a un campo di profughi siriani a Gaziantep, a sud del paese – non sarà fermato dai raid aerei e fintanto che noi non collaboreremo in vista di un’operazione di terra d’intesa con coloro che già combattono sul terreno». «Sono passati mesi senza che alcun risultato sia stato ottenuto», ha aggiunto sollecitando la comunità internazionale a un cambio di strategia. Un intervento quello turco che secondo il suo presidente sarebbe determinante per fermare l’avanzata dell’Isis, che può avvenire solo a determinate condizioni. Affinchè la Turchia intervenga in Siria è necessario che gli Stati Uniti destituiscano il presidente siriano Bashar al Assad e che venga introdotta una no-fly zone sulla Siria. Secondo il Wall Street Journal, Obama non intervenendo a suo tempo contro Assad ha fatto un enorme errore.
Il centro città resiste ancora. Testimoni sul posto a Kobane riferiscono che i miliziani dell’Isis hanno preso il controllo delle periferie, issando bandiere su palazzi e colline, ma che il centro città, sebbene sotto attacco, stia resistendo. Si sentono spari e cannonate, ma pare che i miliziani nel cuore di Kobane ancora non ci siano. A Suruç, nel più grande capo profughi del Kurdistan turco la polizia di Ankara respinge la gente in fuga e permette ai militanti jihadisti di andare e venire, bloccando i peshmerga del Pkk che provano a passare per correre in soccorso dei combattenti che fronteggiano i miliziani dell’Isis a Kobane. Le due città sono collegate da un rettilineo di circa 7 km. È a Suruç che stazionano i giornalisti, monitorando con i binoccoli quanto succede a Kobane. Accanto a loro i tank dell’esercito turco, immobili.
Intanto in molte città turche sono iniziate le manifestazioni di solidarietà da parte del partito curdo Hdp nei confronti di Kobane sotto assedio. A Istanbul si sono registrati scontri anche violenti tra polizia e manifestanti. Nel distretto cittadino di Kadikoy, la polizia turca è intervenuta con cannoni ad acqua e lacrimogeni. Sarebbero oltre 20mila, invece, le persone che stanno manifestando contro l’Isis al confine tra Siria e Turchia a pochi chilometri dall’enclave di Kobane.
Il bilancio delle vittime. Da quando è iniziata, a metà settembre, l’avanzata jihadista in quella regione a nord della Siria denominata Rojava, sono oltre 400 i morti accertati. Si tratta di 219 jihadisti, 164 combattenti curdi che difendevano Kobane, 9 membri di milizie loro alleate e 20 civili, quattro dei quali sono stati decapitati dall'Isis. Un numero stimato al ribasso: secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, infatti, le vittime reali della battaglia di Kobane potrebbero essere il doppio di quelle accertate finora. Solo lunedì sono morti 34 jihadisti e 16 curdi. I raid aerei della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti finora stanno sortendo pochi effetti. Anche l'Iran denuncia la passività della comunità internazionale di fronte all'offensiva dell'Isis a Kobane. In quella che ha tutto il sapore di una risposta alle istanze turche, il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran afferma che è necessario fare di più per fermare i jihadisti e in particolare “sostenere il governo siriano contro i terroristi”. Il governo turco, da più parti, è accusato di avere sostenuto, o quanto meno favorito, negli ultimi anni le milizie islamiche in Siria - jihadisti compresi - all'interno del fronte anti-Assad, dopo la rottura di Erdogan con il governo un tempo alleato di Damasco.