Accusata perché cristiana

Pakistan, in cella dal 2009 Il lungo calvario di Asia Bibi

Pakistan, in cella dal 2009 Il lungo calvario di Asia Bibi
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Asia Noreen Bibi è in carcere da più di 1800 giorni: dal 19 giugno 2009.
Sul capo una condanna a morte per blasfemia. Ad aspettarla a casa suo marito Ashiq Masih e cinque figli, un maschio e quattro femmine.

Giugno 2009. Asia Bibi, una donna cristiana che lavora in un’azienda agricola, viene mandata a prendere dell’acqua. Giunta al pozzo, un gruppo di donne musulmana le vieta l’uso del secchio col pretesto che l’avrebbe infettato. Ne nasce una discussione, in cui – a dire delle altre – Asia Bibi avrebbe pesantemente offeso il profeta Maometto. Dopo pochi giorni viene prelevata a casa, nel villaggio di Ittanwalai, e arrestata. Rigetta le accuse fin dal primo momento, nega di aver offeso il profeta, afferma di esser lei perseguitata e discriminata a causa della sua fede cristiana.

Al termine del primo anno di prigione Asia Bibi è condannata a morte mediante impiccagione. La famiglia presenta immediatamente ricorso contro la sentenza. Da allora non si contano le proteste di gruppi che difendono i diritti umani e le istanze a favore della sua liberazione. Fatto grave è che la sentenza escluda la possibilità che Asia Bibi sia accusata ingiustamente unita all’affermazione che «non esistono circostanze attenuanti» per lei.

Nel corso dell’udienza generale del 17 novembre 2010 anche Benedetto XVI lanciò un appello per la sua liberazione. «In questi giorni la comunità internazionale segue con grande preoccupazione la difficile situazione dei cristiani in Pakistan, che spesso sono vittime di violenze o di discriminazione. In modo particolare oggi esprimo la mia vicinanza spirituale alla Sig.ra Asia Bibi e ai suoi familiari, mentre chiedo che, al più presto, le sia restituita la piena libertà».

Nel dicembre 2011 una delegazione della Masihi Foundation – la Ong che si occupa dell'assistenza legale e materiale di Asia Bibi – poté finalmente visitare la donna. Al termine il portavoce riferì di averla trovata in condizioni igieniche terribili: la sua salute fisica e psichica risultava seriamente compromessa.

Haroon Barkat Masih, direttore internazionale di Mf, ha in seguito riportato le parole con cui Asia Bibi ha perdonato chi l’ha accusata a torto: «In un primo momento vivevo frustrazione, rabbia, aggressività. Poi, grazie alla fede, dopo aver digiunato e pregato, le cose sono cambiate in me: ho già perdonato chi mi ha accusato di blasfemia. Questo è un capitolo della mia vita che voglio dimenticare».

Al momento in cui scriviamo il gruppo di avvocati che sostiene la difesa della donna è in attesa dell’udienza che avvii quel processo d’appello che potrebbe modificare la sentenza di primo grado. L’attesa rischia però di protrarsi sine die: il 27 maggio scorso, dopo una serie di rinvii, l’Alta Corte di Lahore ha infatti tolto il caso dal calendario delle udienze.

 

La lettera di Asia Bibi alle donne e agli uomini di buona volontà

“Se mi convertissi sarei libera, preferisco morire cristiana”.

 

Scrivo da una cella senza finestre.

Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buona volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamento della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata condannata a morte mediante impiccagione per blasfemia contro il profeta Maometto.

Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico delitto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica. Non so se queste parole usciranno da questa prigione. Se il Signore misericordioso vuole che ciò avvenga, chiedo di pregare per me e intercedere presso il presidente del mio bellissimo Paese affinché io possa recuperare la libertà e tornare dalla mia famiglia che mi manca tanto. Sono sposata con un uomo buono che si chiama Ashiq Masih. Abbiamo cinque figli, benedizione del cielo: un maschio, Imran, e quattro ragazze, Nasima, Isha, Sidra e la piccola Isham.

Voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Stanno soffrendo a causa mia, perché sanno che sono in prigione senza giustizia. E temono per la mia vita. Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui».

Due uomini giusti sono stati assassinati per aver chiesto per me giustizia e libertà. Il loro destino mi tormenta il cuore. Salman Taseer, governatore della mia regione, il Punjab, venne assassinato il 4 gennaio 2011 da un membro della sua scorta, semplicemente perché aveva chiesto al governo che fossi rilasciata e perché si era opposto alla legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan. Due mesi dopo un ministro del governo nazionale, Shahbaz Bhatti, cristiano come me, fu ucciso per lo stesso motivo. Circondarono la sua auto e gli spararono con ferocia.

Mi chiedo quante altre persone debbano morire a causa della giustizia. Prego in ogni momento perché Dio misericordioso illumini il giudizio delle nostre autorità e le leggi ristabiliscano l’antica armonia che ha sempre regnato fra persone di differenti religioni nel mio grande Paese. Gesù, nostro Signore e Salvatore, ci ama come esseri liberi e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere. Ho provato una grande emozione quando ho saputo che il Santo Padre Benedetto XVI era intervenuto a mio favore. Dio mi permetta di vivere abbastanza per andare in pellegrinaggio fino a Roma e, se possibile, ringraziarlo personalmente.

Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro. Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e – se puoi – prega il Signore per noi e scrivi al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari. Se leggi questa lettera, è perché Dio lo avrà reso possibile. Lui, che è buono e giusto, ti colmi con la sua Grazia.

Asia Noreeen Bibi – Prigione di Sheikhupura, Pakistan

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