E ora dopo la crisi di governo... Tutti al voto! No, meglio di no
Archiviato il governo gialloverde, ora la sfida è aperta tra due partiti: quello delle elezioni e quello che invece vuole evitare le urne. Più che ai contenuti, la politica oggi è costretta a badare alla strategia. Vediamo da chi sono composti i due partiti, molto trasversali. Il partito del voto. Ovviamente è quello capeggiato da Matteo Salvini. Il leader della Lega è fresco di un risultato elettorale eclatante come quello delle europee, e dopo un po’ di esitazioni si è deciso a tentare di incassare quei voti anche sulla scena italiana. Molto probabile che come ha detto Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, abbia sbagliato i tempi e quindi a questo punto dovrà molto soffrire prima di arrivare al voto, se mai ci si arriverà... Il partito elettorale infatti in questo momento, proprio per l’eccesso di consensi che convergerebbero su Salvini, conta pochi adepti. C’è Giorgia Meloni, in crescita con i suoi Fratelli d’Italia e pronta a stringere un’alleanza per il potenziale governo di centrodestra. Ma sul carro del partito del voto potrebbe salire anche Nicola Zingaretti, al quale una resa dei conti elettorale potrebbe far comodo, per due motivi. Il primo, perché potrebbe passare all’incasso dei tanti voti in uscita da 5Stelle (così dicono i sondaggi), grazie anche al traino di un candidato premier di buona immagine come Paolo Gentiloni, e soprattutto potrebbe ottenere un ricambio della compagine parlamentare che oggi è a stragrande maggioranza renziana. Per Zingaretti sarebbe l’occasione di ridimensionare l’ingombrante presenza dell’ex presidente del Consiglio, con il rischio che questi però vada alla scissione, come già ventilato prima della crisi di governo.
Il partito del non voto. Ovviamente in prima fila ci sono i 5Stelle in calo verticale di consensi e quindi legittimamente impauriti dall’ipotesi elezioni. Hanno trovato dalla loro parte il più improbabile degli alleati, quel Matteo Renzi da loro sempre demonizzato come nemico numero uno ed emblema della vecchia politica. Renzi, a cui il mestiere politico certo non manca, ha recuperato una centralità in questa fase, spingendo il suo partito a uscire dalle sabbie mobili e a tentare una nuova alleanza di governo. Renzi come i 5Stelle deve evitare a tutti i costi il voto, da cui uscirebbe inevitabilmente ridimensionato, sia nell’ipotesi di una sua permanenza nel Pd sia nell’ipotesi di una nuova avventura politica (quotata dai sondaggisti al 4-5%). Al partito del non voto si è iscritto anche Silvio Berlusconi, che deve girare alla larga dalle urne per evitare una resa dei conti che si prospetterebbe disastrosa per Forza Italia e per vedere sancito in modo definitivo il passaggio di leadership del centrodestra a Matteo Salvini. Berlusconi non riesce a pensarsi come numero due... A meno che, con un patto di alleanza Salvini non gli faccia balenare la possibilità che il nuovo centrodestra vincente e largamente maggioritario lo porti al Quirinale, succedendo a Mattarella nel 2022. Il partito del non voto ha i numeri per essere maggioranza di governo, anche se sono numeri sul filo del rasoio: al Senato arrivano a 158 voti, per cui ci sarebbe bisogno dei 4 voti di Leu, a sinistra del Pd. Ma ci potrebbero essere anche adesioni dal Gruppo Misto e dalle Autonomie. Anche alla Camera gli equilibri sono precari, in quanto il Pd ha 14 deputati in meno della Lega. Proprio 14 sono i deputati di Leu.