Fotografie per le strade di Genova I volti degli angeli del fango

Tra giovedì e venerdì 10 ottobre, a Genova, a causa delle piogge torrenziali, sono esondati tre torrenti, il Bisagno, che è quello che attraversa la città, il Feregiano e lo Sturla, che sono quelli della zona est, e lo Scrivia, che è quello che corre a ovest. Quartieri evacuati, strade allagate, auto trascinate via, qualche frana (una in via G.B. D’Albertis). Un uomo di 57 anni è morto nella zona di Brignole. La protezione civile invitava i cittadini a «a non uscire da casa se non strettamente necessario, a non usare mezzi di trasporto propri, a limitare gli spostamenti al necessario».
Com’è la situazione oggi. Dopo la seconda notte di tregua dai violenti nubifragi dei giorni scorsi, rimane comunque in vigore, fino alla mezzanotte, l’allerta 2, perché sono previste nuove perturbazioni, in particolare nelle province di La Spezia, Genova e Savona. In tutta la regione il rischio idrogeologico è al massimo livello. Sono chiuse le scuole, i parchi, i cimiteri, gli impianti sportivi, i mercati e diversi musei. I treni ancora non circolano (immobili le tratte Genova-Torino e Genova-Milano), le autostrade rimangono ferme (non si viaggia sul tratto della A7 tra Busalla e Vignole in direzione Milano), lo scalo aeroportuale è in tilt e sono stati dirottati almeno quattro voli.
In città, intanto, si continua a spalare il fango dalle strade. Affiancata da vigili urbani e volontari, la Protezione Civile, che presidia da giorni le aree a rischio, in un comunicato stampa fa sapere che «sono operative oltre 250 unità dei Vigili del Fuoco, 200 militari dell’Esercito per ripristinare la viabilità, più di 300 unità delle Forze di Polizia, oltre 120 unità della Croce Rossa Italiana e oltre 700 volontari».
Gli angeli del fango. Con loro anche un gruppo di giovani già attivo nell’ultima alluvione che colpì Genova, quella del 2011 (dove persero la vita sei persone, di cui due bambine di uno e otto anni). Si chiamano gli “Angeli del fango”, sono tantissimi – centinaia –, giovani, volenterosi. Scout, sportivi, ragazzini, universitari, richiamati dal passaparola sui social network (qui la loro pagina Facebook) o più semplicemente dalla loro buona coscienza, vengono da ogni angolo della città. Ma anche da Torino, Milano, Alessandria, Pavia. Si organizzano in squadre, passano sopra le polemiche che chiedono le dimissioni del sindaco: «È inutile stare a dire che cosa si poteva fare, quel che è successo è successo. Oggi compito dei cittadini è cooperare tra loro. L’importante oggi è la solidarietà» . Si sono infilati di nuovo le magliette di tre anni fa, quelle con scritto «Non c’è fango che tenga», e via, tra melma e detriti.
Oggi i giornali ne parlano come se fossero una sorpresa, il simbolo rivelatorio di qualche salvezza, la «meglio gioventù» da cui ripartire. Un bell’articolo di Adriano Sofri di stamani, lunedì 13 ottobre, ricorda all’Italia che i gruppi di giovani volontari sono stati tanti, nella storia del Belpaese. Sono comunque tutti belli, quelli di ieri (del tremendo 1970) nelle fotografie in bianco e nero, e quelli di oggi, con le magliette chiare e il fango appiccicato fino alla punta dei capelli. Ecco i loro volti, la loro fatica.






















