Tutta colpa di un virus?

Che si sa di nuovo sulla celiachia

Che si sa di nuovo sulla celiachia
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Come ogni anno, la celiachia, ovvero l’intolleranza al glutine, viene chiamata "a rapporto" attraverso una relazione al Ministero della Salute che attesta le novità sulla malattia venute a galla durante i dodici mesi precedenti. In altre parole, i traguardi raggiunti, quelli che si stanno perseguendo e i trend da monitorare.

 

 

Numeri in crescita. La prima novità riguarda, purtroppo, un incremento degli italiani celiaci, saliti a oltre duecentomila, ottomila in più rispetto all’anno precedente. Maggiormente interessate le donne, con un rapporto doppio rispetto agli uomini. Infatti, la "quota rosa" celiaca sarebbe pari a quasi 146mila donne, ovvero circa due terzi della popolazione, contro poco meno di 61mila casi fra gli uomini. La maggior parte dei casi, inoltre, si registrea tra i 19 e i 40 anni, con oltre 71 mila celiaci, pari a circa il 34 per cento dei celiaci totali. Cerchiamo però di vedere l’aspetto positivo di questi numeri in crescita: significa che, oggi, ci sono strumenti diagnostici migliori o maggiore attenzione nel riconoscere e rilevare casi di celiachia, intraprendendo prima e con più efficacia la sola terapia possibile, ovvero l’impostazione di un regime dietetico senza glutine, privo cioè di questa proteina del grano, evitando così che la problematica si aggravi o arrechi danni ad altri organi. Ma significa anche che istituzioni e/o enti competenti possono attivare (e in parte lo hanno fatto) misure protettive per tutti i celiaci per arginare al meglio la malattia. Si va, ad esempio, dall’aumento dei tetti di spesa su cibi e prodotti specifici all’erogazione di test diagnostici, fino a ogni altra misura necessaria alla prevenzione, contenimento e trattamento della celiachia.

Gli alimenti senza glutine. «La celiachia - scrive Giulia Grillo, ministro della Salute - oggi è considerata una malattia cronica, a rischio di complicanze, ma prevenibili/evitabili con una diagnosi precoce e un corretto regime alimentare privo di glutine. Quest’ultimo più perseguibile grazie all’informazione, alla sensibilizzazione della popolazione e a un’ampia gamma di prodotti disponibili sul mercato, anche offerti nella ristorazione». Infatti, al riguardo, non solo lo Stato ha cambiato i tetti di spesa, valutati in funzione di età, sesso, fabbisogno e dispendio energetico secondo gli attuali Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia LARN (2014), dedicando 250 milioni di euro a supporto di questa dieta con una spesa annuale di circa 1.200 euro pro capite, ma nel bilancio di esercizio finanziario ha previsto di investire a favore delle Regioni 320mila euro per garantire la somministrazione di pasti senza glutine e oltre 534mila euro per attività di formazione per operatori alimentari e ristorazione.

 

 

Cosa ancora non funziona. La disomogeneità tra le Regioni. Infatti, nonostante la normativa, il sistema di erogazione gratuita previsto per questi alimenti è ancora molto diverso da Regione a Regione con ripercussioni che ricadono sui pazienti. Sia in ambito di terapia sia di libera concorrenza di questi alimenti, che porterebbe a una riduzione dei singoli prezzi. Per risolvere questo problema è stato istituito un tavolo di lavoro cui stanno partecipando in sinergia il Ministero della Salute e le Regioni.

Cosa dice il Decreto Ministeriale (DM) del 10 agosto. Stabilisce che l’erogabilità gratuita è possibile solo per gli alimenti «senza glutine specificamente formulati per persone intolleranti al glutine» o «specificamente formulati per celiaci». Questi alimenti sostitutivi includono tutta la gamma di prodotti che contengono al proprio interno la proteina, come pane e prodotti da forno salati; pasta, pizza e affini; piatti pronti a base di pasta; preparati e basi pronte per dolci; prodotti da forno e altri prodotti dolciari; cereali per la prima colazione e diversi altri alimenti dolci e salati.

 

 

Forse c’entra un virus nello sviluppo della celiachia. È la novità in ambito di ricerca sulla malattia. Infatti uno studio norvegese dell’Østfold Hospital Trust, a Grålum, pubblicato sul British Journal of Medicine, suggerirebbe che la celiachia possa essere "accesa" da una infezione intestinale da enterovirus e adenovirus, di tipo A e B, sviluppata nella prima infanzia in bambini già geneticamente predisposti alla malattia, ovvero con genotipo HLA DR4-DQ8/DR3-DQ2, con un rischio di sviluppo tanto maggiore se l’infezione perdura per un periodo superiore ai due mesi. I ricercatori hanno infatti reclutato 220 piccoli con questa alterazione genetica, monitorandoli dal 2001 al 2016, con analisi su campioni fecali effettuati tra i 3 mesi e i 36 mesi di età e fornendo anche una dose di anticorpi per la celiachia a 3, 6, 9 e 12 mesi e poi con cadenza annuale. Le analisi effettuate su 370 degli oltre 2.100 campioni raccolti confermerebbero proprio questa doppia tesi. In conclusione? Si suppone che infezioni virali intestinali manifestate nella prima infanzia possano alterare la barriera protettiva della mucosa, favorendo la migrazione delle molecole del glutine in quest’area. Se questa tesi dovesse essere confermata da altri studi, allora si potrebbe pensare alla creazione di un vaccino, oggi inesistente, per ridurre il rischio di celiachia in soggetti con caratteristiche genetiche favorenti.

Ricadute sulla qualità di vita. O almeno sulla percezione che essa non sia così buona costringendo il celiaco a dover sempre stare molo attento fuori e dentro casa a consumare "gluten free". Lo dichiara anche uno studio della Columbia University di New York, Stati Uniti, condotto su circa un centinaio di adulti e adolescenti con diagnosi di celiachia da almeno 5 anni, pubblicato su Digestive and Disease Sciences. I partecipanti sono stati interrogati con un questionario, ripetuto tre volte in un mese, riguardo l’aderenza alimentare, il controllo dei cibi, i livelli di conoscenza degli alimenti che contengono glutine e l’impatto che questo comporta sulla qualità della vita. I soggetti più attenti, ligi a mangiare solo in ristoranti per celiaci, ad accertarsi circa gli ingredienti dei cibi e farmaci, a evitare potenziali fonti di contaminazione incrociata in casa e fuori, mostrano una netta diminuzione della qualità della propria vita, almeno in termini di percezione della stessa.

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