Le associazioni che chiedono aiuto

La capitale del volontariato adesso è in cerca volontari

La capitale del volontariato adesso è in cerca volontari
Pubblicato:
Aggiornato:

Quante volte abbiamo sentito parlare del «cuore grande dei bergamaschi»? Tante, tantissime. Una formula un po’ stucchevole, ma che certo ben riassumeva un dato oggettivo e inconfutabile: la nostra provincia era una terra di volontari, di gente che si metteva al servizio degli altri senza nulla chiedere in cambio. Nella Chiesa (Bergamo per molti anni ha avuto lo stesso numero di preti e di missionari, per dire) tanto quanto nella laicità. L’ex vicesindaco e oggi consigliere comunale di Forza Italia, Gianfranco Ceci, è arrivato addirittura a candidare Bergamo come capitale italiana o europea del volontariato.

 

 

Usiamo il passato, sì. Perché l’impressione è che, negli ultimi anni, le cose siano cambiate. Sempre più spesso, infatti, le associazioni chiedono aiuto: hanno bisogno di volontari e non ne trovano. In ordine di tempo, gli ultimi sos sono arrivati dall’Associazione Volontari Ospedalieri e dal carcere. Ma anche Avis e Aido, due delle associazioni più note e radicate sul territorio, sono alla costante ricerca di nuovi volontari. «Le difficoltà ci sono, è vero - ammette Oscar Bianchi, presidente del Csv (Centro servizi volontariato) di Bergamo -. Ma vanno fatte alcune specifiche». La prima è che, in realtà, Bergamo e la provincia restano una terra molto “fertile”: su una popolazione di circa un milione e centomila abitanti, i volontari sono duecentomila. «Ci sono circa 3.500 associazioni - aggiunge Bianchi -, e poco meno di duecento sigle. Per intenderci: Avis è un’unica sigla, ma poi si dipana sul territorio con tante singole associazioni». Dunque il problema non sta nei numeri. «Diciamo che sono due i fenomeni che “frenano” il reclutamento di nuovi volontari: da un lato quello che io ho ribattezzato “innamoramento espulsivo”, dall’altro la professionalizzazione del volontariato».

 

 

Andiamo con ordine. «Quando parlo di innamoramento espulsivo intendo dire che ci sono volontari talmente innamorati delle loro associazioni che faticano ad accettare che qualcun altro possa avvicinarsi a esse e occuparsene». In altre parole, si cercano forze fresche ma non si concepisce l’importanza di un ricambio generazionale. «Questo accade soprattutto all’interno di associazioni storiche». E cosa si intende, invece, per professionalizzazione del volontariato? «Non esiste più il volontariato che è solo tempo messo a disposizione degli altri, serve anche professionalità - continua il presidente del Csv di Bergamo -. È necessario formarsi, informarsi, costruire una propria competenza. Solo a quel punto si può fare davvero volontariato, che è sempre più un’anticipazione di quelle che sono le esigenze della comunità che le istituzioni o non hanno ancora intercettato o non sono in grado di gestire. Il volontariato in parte anticipa i bisogni della gente, in parte compensa ciò che il pubblico non è in grado di dare. Ma perché ciò avvenga, è necessario fornire un servizio competente e strutturato. Viceversa, si fa più male che bene».

È ovvio che tutto questo porta a un allontanamento delle nuove leve, in particolare di quelle più giovani. Di ragazzi che si mettono in gioco per gli altri, in realtà, ce ne sono ancora, come dimostra la storia di Sanda Vantoni, 26 anni, originaria di Sorisole, volontaria in Marocco con Cefa onlus e premiata come Giovane volontario europeo 2019 dalla Focsiv (Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario); ma sono sempre meno quelli che decidono di farlo aderendo a delle associazioni. Per spiegare il fenomeno, Bianchi fa riferimento ai...

 

Articolo completo a pagina 5 di BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 19 settembre. In versione digitale, qui.

Seguici sui nostri canali