Donati oltre 5 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza
Sono parole quasi di incredulità quelle del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon in visita a Gaza. Nell’osservare i danni causati dall’ultima guerra, quell’operazione Protective Edge che in 50 giorni ha causato la morte di 2200 palestinesi, 73 israeliani e la fuga di oltre 100mila profughi, Ban Ki-Moon ha parlato di «distruzione indescrivibile». Oltre 18mila case sono state abbattute, quasi 100mila danneggiate. Più di mille imprese industriali sono state costrette a chiudere; lo stesso per 4.200 negozi e altre imprese commerciali. 25 pozzi per l'acqua potabile sono stati danneggiati, quasi 50 chilometri di rete idrica e oltre 17 chilometri di tubazioni di scarico sono stati distrutti. L’unica centrale elettrica di Gaza è stata colpita da un raid. Ci sono ancora 2,5 milioni di tonnellate di macerie da rimuovere.
A Ban Ki-Moon è stato fatto visitare anche uno dei numerosissimi tunnel sotterranei utilizzati da Hamas e scoperti dall’esercito israeliano. Una visita, quella a Gaza del numero uno del Palazzo di Vetro, che coincide con le prime consegne di materiale per la ricostruzione autorizzate dalle autorità israeliane. Nella giornata di ieri, infatti, Israele ha confermato di aver fatto entrare nella Striscia 600 tonnellate di cemento, 50 camion di aggregati edilizi e 10 autocarri di metallo. Il trasferimento, in base agli accordi raggiunti, è controllato da rappresentanti dell'Onu, dell'Autorità nazionale palestinese e di Israele.
5,4 miliardi dai Paesi donatori. La visita di Ban arriva a seguito della conferenza internazionale che si è svolta domenica al Cairo per la raccolta di fondi destinati alla ricostruzione. Vi hanno partecipato i rappresentanti una cinquantina di Paesi, e sono 5,4 i miliardi di dollari che i donatori si sono impegnati a raccogliere: la metà è stata direttamente destinata alla ricostruzione e l’altra metà ad aiuti umanitari e finanziari per far ripartire l’economia nella Striscia. Israele non è stato invitato alla conferenza per evitare di aggravare la tensione con i palestinesi. Una cifra enorme, che supera di oltre un miliardo la cifra che avevano chiesto i palestinesi, ma che rimane in linea con quanto già stanziato dalla Comunità Internazionale dopo l’Operazione Piombo Fuso del 2009, quando erano stati donati 4 miliardi e mezzo.
Quanto dona ciascun Paese, Italia compresa. Anche l’Italia parteciperà, donando 18,7 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere ai 7,85 milioni di euro già dati per l’emergenza 2014 e ai 60 milioni già assegnati per il triennio 2013-2015. Di questi 18 milioni, 3,7 sono destinati alle emergenze di carattere sociale per gli individui vulnerabili, cioè i bambini, le donne e gli anziani. Gli altri 15 milioni consistono in un credito a tasso zero restituibile in 30 anni, finalizzato alla ricostruzione vera e propria degli edifici.
A fare la parte del leone, donando da solo un miliardo di dollari, è il Qatar. L’Arabia Saudita dovrebbe donare (usiamo il condizionale perché la cifra ufficiale non è stata ancora comunicata) 500 milioni di dollari, la Turchia e il Kuwait 200 milioni ciascuno e gli Stati Uniti 212 milioni. L’Unione Europea ha promesso 568 milioni di dollari.
Come funziona la ricostruzione. In base all'accordo raggiunto tra israeliani e palestinesi con la mediazione delle Nazioni Unite lo scorso 26 agosto, funzionari Onu a Gaza supervisioneranno l'uso dei materiali, per garantire che siano usati per il rinnovo delle case e degli edifici pubblici di Gaza e, al tempo stesso, salvaguardare la sicurezza di Israele. Cemento, ghiaia e ferro entreranno a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, a sud della Striscia, gestito da Israele. La scelta di avere l’Onu a supervisionare l’ingresso dei materiali da ricostruzione non è piaciuta al movimento di resistenza palestinese della Jihad islamica, che ha invitato l’Autorità palestinese a formare un comitato indipendente per sorvegliare la ricostruzione, e ha rivolto un appello alla comunità internazionale perché condanni Israele per i crimini contro il popolo palestinese.
Il problema politico e l’embargo. Ricostruire è importante, fondamentale per poter far ripartire la vita della Striscia. Ma non basta. Il Segretario di Stato Usa John Kerry esorta a riprendere i negoziati per una pace definitiva. Nel frattempo, però, una delle questioni fondamentali da risolvere è quella dell’embargo. Dal 2006 a Gaza non entra niente che non sia autorizzato da Israele, il quale ha stilato una lunga lista di beni proibiti nella Striscia. Una problematica, quella dell’embargo, che sta a cuore anche all’Onu. Prima di recarsi in visita tra Israele e Palestina, Ban Ki-Moon era tra i partecipanti alla conferenza del Cairo e, unendosi all’esortazione di Kerry, ha ricordato che Gaza rimane una «polveriera», e ha chiesto la fine del blocco totale imposto da Israele, che in questi sette anni ha messo in ginocchio l’economia e la vita di quasi due milioni di abitanti. Motivo per cui si sono costruiti i tunnel, che - oltre ad armare Hamas - sono stati l’unica fonte di vita per i civili. Si stima che il Pil sia in calo del 20% quest’anno, mentre la disoccupazione giovanile sfiora il 63%. È chiaro, quindi, come sia da ricostruire l’intero sistema economico della Striscia, ma il problema è l’impossibilità di utilizzo dei fondi stanziati dai vari Stati, che rimangono bloccati nei conti bancari. Dal governo di unità palestinese fanno sapere che la ricostruzione è possibile solo a due condizioni: l’ingresso dei materiali senza condizioni o restrizioni e la disponibilità dei fondi.
Il monito di Oxfam. Oxfam, la confederazione di 17 organizzazioni non governative che lavorano con 3.000 partner in più di 100 Paesi per trovare la soluzione definitiva alla povertà e all’ingiustizia, avverte che il denaro raccolto, se non si risolverà il problema dell’embargo, potrebbe rimanere fermo per decenni prima di arrivare alla popolazione. Secondo Oxfam, alle condizioni attuali, ci vorranno almeno 50 anni per ricostruire Gaza. E gli aiuti dei Paesi stranieri non sarebbero serviti a nulla.