Nella sua ex latteria, Flavio sorride E fa un sacco di favori a tutti quanti
Foto di Sergio Agazzi
«Se vuoi apriamo un bar anche a te». Era il 1980 quando la signora Elisabetta, una donna decisa e piena di cura, decise di sostenere il figlio Flavio Signori nell’avvio del suo bar. Lui era appena rientrato dal servizio militare, aveva 21 anni e poche idee sul suo futuro. Così ci pensò la mamma e, come aveva già fatto con il primo figlio, investì tempo e denaro sul futuro del ragazzo. Elisabetta, che aveva fatto esperienza con il primogenito Alessandro, non esitò a mettersi al comando della nuova attività: fu severa con il figlio e sempre sorridente con i clienti. «Ha lavorato così per tutta la vita. A un certo punto ho dovuto mettere le serrande elettriche perché era così anziana da non riuscire più a manovrarle a mano. Però fino alla fine non ha mollato».
Flavio racconta con calma e senza perdersi in troppe parole. Di tanto in tanto s’interrompe per tornare dietro al banco del suo bar, fare un caffè e scambiare cordialmente due parole con gli avventori. Poi torna a sedersi e riprende da dove aveva lasciato, senza perdere mai il filo. Il suo bar non ha un nome, né una insegna visibile sull’esterno, ma dalle ampie vetrate si vede lui, «il Flavio», qui da ormai quarant’anni. Per gli abitanti del borgo nome e luogo sono ormai la stessa cosa. «All’inizio era una latteria - spiega sorridendo -. Era pieno di donne che stavano qua e facevano comunella. Erano felici di stare con mamma e io potevo permettermi ogni tanto di scappare per andare a sciare». Negli anni Ottanta si vendevano fino a seicento litri di latte al giorno. Poi sono arrivati i supermercati e la latteria ha lasciato il posto al bar e a una nuova frequentazione: più maschile. «Sono stati anni belli, eravamo spensierati, il lavoro non mancava e nutriva la gioia di vivere». Mamma Elisabetta era sempre presente e non esitava a rimettere il figlio in riga quando tardava troppo. «Ma alla fine sono sempre stato ü brao s-cet», dice con leggerezza.
Flavio si definisce un diplomatico che fa uso quotidiano della sua capacità di mediazione per non avere problemi. Gli piace il quieto vivere, anche se ha un po’ nostalgia della goliardia dei primi anni: «Sono vent’anni che nessuno racconta più barzellette, forse non c’è più voglia di ridere», dice sconsolato. Eppure, anche quando si sofferma sulle fatiche degli ultimi anni, sul volto ha sempre impresso un sorriso. Si alza e porge un pacco a una ragazza. È una delle tante gentilezze che rivolge ai suoi clienti. Nel tempo di un caffè passano almeno tre persone a chiedere un favore e lui con cortesia risponde sempre. Dice: «Non sono qui per la gloria e faccio fatica se qualcuno mi chiede di disegnare un fiore su un cappuccino, ma non mi dispiace essere un punto di riferimento per il quartiere». Nella misura di quest’uomo dagli occhi celesti, pur affaticato dal tanto lavoro e dalla troppa burocrazia, ci sembra di scorgere il senso più profondo di un negozio di vicinato: esserci ogni giorno con delicatezza, per offrire ai cittadini anche solo cinque minuti di garbo e disponibilità.