Moschee, la Corte Costituzionale attacca la Regione Lombardia
È lotta continua tra Lombardia e Corte Costituzionale sul tema delle moschee. L’ultimo atto è la sentenza della Consulta, resa nota il 5 dicembre, secondo la quale la libertà religiosa garantita dall'articolo 19 della Costituzione comprende anche la libertà di culto e, con essa, il diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare: la legge lombarda approvata nel 2015 violerebbe questo diritto. Per questo la Consulta ha accolto le questioni sollevate dal Tar Lombardia e ha annullato due disposizioni in materia di localizzazione dei luoghi di culto introdotte nella disciplina urbanistica lombarda: le norme contestate finirebbero infatti per «determinare una forte compressione della libertà religiosa senza che a ciò corrispondesse alcun reale interesse di buon governo del territorio».
Il problema della contesa riguarda alcuni criteri contenuti nelle disposizioni applicate nel territorio lombardo per quanto riguarda nuovi edifici di culto: per aprirli bisogna garantire che sorgano a una distanza minima con gli altri; che abbiano una superficie di parcheggi pari ad almeno il doppio di quella dell'edificio; che siano dotati di impianti di videosorveglianza. Le regole valgono sia per le religioni che hanno firmato intese con lo Stato italiano sia per quelle che non hanno un'intesa, come l'Islam. Per aprire luoghi di culto devono essere stipulate convenzioni in materia urbanistica con i Comuni interessati, ma nel secondo caso (quello che riguarda appunto i musulmani) le richieste di autorizzazione di apertura di un luogo di culto devono essere sottoposte a un ulteriore controllo da parte di una nuova Consulta regionale. È una legge che indubbiamente non nasconde un accanimento nei confronti delle comunità islamiche presenti sul territorio regionale e che quindi inevitabilmente si è esposta alle contestazioni rispetto alla sua legittimità costituzionale.
Non è infatti la prima volta che la Corte Costituzionale attacca la legge lombarda: era accaduto anche nel febbraio 2016, quando l’allora governo Renzi aveva impugnato il testo della legge e aveva chiesto un parere alla suprema corte. Il verdetto era stato anche allora nella stessa direzione di quello reso noto ieri. Questa volta La Corte però ha fatto di più e ha abrogato due commi della legge che riguardano l'iter amministrativo per i nuovi luoghi di culto e alcuni altri presupposti previsti. La legge non decade, anche se la Regione sta studiando i correttivi normativi alla luce delle motivazioni della Corte Costituzionale.
La legge conferisce molti poteri ai comuni in materia di nuove moschee. Il caso più noto è quello che ha visto coinvolto il comune di Sesto San Giovanni, il più popolato tra quelli della cintura milanese. Qui era prevista una moschea fra le più grandi in Regione, accanto all’attuale, su di un’area di 2.500 mq circa. Oltre al minareto prevede spazi di preghiera, biblioteca, ristorante, giardino, un parcheggio sotterraneo. In questo caso la giunta di centrodestra guidata dal sindaco Roberto Di Stefano nel 2018 aveva azzerato tutte le concessioni edilizie per realizzare la nuova moschea in via Luini. Gli atti per azzerare la moschea partivano dal fatto che il Centro Islamico non aveva mai ottemperato al pagamento di imposte e tasse per circa 320 mila euro spettanti al Comune. In quel caso era stato interpellato il Tar che aveva dato ragione al Centro Islamico. Lo stesso tar aveva invece dato ragione al Comune di Cantù, che aveva impedito la trasformazione di un capannone in luogo di preghiera per il fine Ramadan: in quel caso era stato sottolineata la mancanza di comunicazione di cambiamento d’uso dell’immobile, che non aveva i requisiti per accogliere quel rilevante numero di persone previste.