Pantani, l'ombra della camorra dietro alla squalifica al Giro del '99
"Psssss. Ehi".
"Cosa c'é?".
"Hai sentito del Pelatino?".
"Chi?".
"Il Pelantino. Pantani".
"Beh?".
"Punta tutti i tuoi soldi sugli altri, gli avversari di Pantani. Fidati. Quello a Milano non ci arriva".
Così il bel René si è fidato. In carcere le cose vanno in un certo modo: si parla il giusto, il resto sono solo chiacchiere. Comunque quel giorno del 1999 Vallanzasca è dentro, sta scontando quattro ergastoli per certi fatti degli anni Settanta. Dietro le sbarre del carcere di Opera si guarda anche il ciclismo. Quando l'uomo gli si avvicina per proporgli l'affare, Vallanzasca è scettico. «Ma lo sai chi sono?», gli dice. «Certo, non potrei mai darti una fregatura. Ma ti dico che Pantani non arriva a Milano. Fidati».
Non esistono scommesse sul ciclismo. O meglio: esistono, sono clandestine. E le gestisce la criminalità organizzata. La camorra. Che quando si rende conto di aver accettato troppe puntante vincenti su Pantani è tardi: quello il Giro rischia di vincerlo un'altra volta. C'è solo un modo perché le cose possano andare diversamente: bisogna farlo fuori. Arriviamo al 5 giugno, il giorno che il detenuto della dritta a Vallanzasca va all'incasso: «Pantani è fuori, squalificato. Te l'avevo detto di fidarti». Vallanzasca ha raccontato questo episodio nella sua autobiografia uscita negli ultimi giorni del '99. Poi è stato sentito dal pm di Trento, Giardina, che dopo lo stop di Pantani a Madonna di Campiglio ha aperto un fascicolo. Vallanzasca è stato poi interrogato sulle scommesse clandestine, su Pantani e tutto quanto, ma non ha risposto per la paura. Con i clan il rischio è troppo alto.
Oggi che la morte di Pantani è tornata a essere un caso, però, i fatti potrebbero cambiare. Nei prossimi giorni il procuratore Sottani andrà a Milano per interrogare Vallanzasca, ancora, una seconda volta. Ma rispetto al '99 gli investigatori hanno qualche elemento in più. Hanno visionato alcuni filmati inediti, controllato il registro del carcere, seguito una pista diversa. E adesso hanno un'idea molto precisa di chi fosse il detenuto che aveva fornito la dritta al bel René.
E' un lungo giro di vite, quello che gli inquirenti stanno portando avanti. Tra gli interrogati ci sono giornalisti, gente vicina a Pantani e anche medici che hanno spiegato come si sarebbe potuto alterare il valore dell'ematocrito del Pirata quel giorno di giugno, su a Campiglio. Se le indagini dovessero confermarlo, questa pista potrebbe portare a nuove e più chiare idee su cosa sia successo davvero più tardi, al Residence "Le Rose" di Rimini, dove Pantani era stato trovato morto il 14 febbraio del 2004. E Vallanzasca potrebbe avere un ruolo fondamentale in questa storia, che davvero non sembra avere fine. Lo scorso settembre la Procura di Forlì ha aperto un fascicolo a carico di ignoti con l'ipotesi di reato per associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Soldi, insomma. E bocche cucite. A fine luglio c'era già stata la riapertura del caso sulla morte da parte di un'altra procura, quella di Rimini.
Sono anni che la mamma di Pantani, la Tonina, dice che «senza Campiglio non ci sarebbe stato Rimini», che tutto è collegato e che bisogna fare chiarezza. Allora ecco la Procura di Forlì che, dopo quindici anni, torna a indagare su un fatto che ha segnato l'Italia e la storia di questo Paese. Da settembre a oggi sono state ascoltate diverse persone. Ma tutto è avvolto nel mistero, ancora. I mandanti di questa storia sono molto pericolosi, e potrebbero essere gli stessi legati all'esclusione di Marco al Giro del 1999.
In quei giorni il Pirata aveva ricevuto minacce anonime ma chiare: non doveva finire la gara. Lo hanno ripetuto tutti quelli che hanno sfilato davanti agli inquirenti. Il 25 maggio del 1999 il Giro arriva a Cesenatico, a casa di Marco. I giornali il giorno dopo titoleranno: «Ha saltato il controllo del sangue. Pantani è fuori». In realtà Pantani passa quel test, ma i commissari dell'Uci lo vorrebbero squalificare per un ritardo di venti minuti. Pantani andrà avanti, ma sotto le minacce dell'ispettore dell'Uci Antonio Coccioni: «La prossima volta non te la caverai». Dietro c'era qualcosa, forse. E adesso la Procura di Forlì sta cercando di capire e di portare alla luce come sono andati veramente i fatti.