Il film da vedere nel weekend Pinocchio e la magia di Garrone
Regia: Matteo Garrone.
Con: Federico Ielapi, Roberto Benigni, Gigi Proietti, Rocco Papaleo, Massimo Ceccherini.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.
Quello di Matteo Garrone è senza dubbio un nome ricorrente nei discorsi sul cinema italiano contemporaneo, proprio perché, assieme a poche altre (come Sorrentino), la sua è una delle opere più amate dal pubblico e dalla critica. Il cinema di Garrone non soltanto è bellissimo da vedere (ha un gusto per l’inquadratura e la composizione che raramente si ritrova in altri autori), ma è anche capace di incrociare importanti temi e questioni della cultura contemporanea. Basti pensare all’ormai leggendario Gomorra, che ha dato origine a una fortunatissima serie tv, o a Reality, nel quale il regista mette in stato d’accusa il mondo patinato e artificiale della televisione alla Grande Fratello. C’è però anche un’altra parte importante del suo cinema che ha trovato una importante occasione di emergere con Il racconto dei racconti, adattamento di alcune vecchie novelle. È la dimensione della favola, del racconto fantastico, nella quale Garrone sembra trovarsi pienamente a suo agio. È la stessa che ritroviamo anche nell’attesissimo Pinocchio, adattamento del capolavoro di Collodi che dialoga a distanza con le altre celebri versioni cinematografiche.
Il film di Garrone è fra tutti il più fedele alla lettera originale del romanzo, che omaggia non solo nei contenuti ma anche – e soprattutto – nello stile. Rifacendosi alla primissima versione del testo, il regista costruisce personaggi e ambientazioni ricollegandosi con decisione al registro del gotico e rendendo tutto vagamente inquietante. Siamo molto lontani dal tono favolistico contrabbandato dalla Disney, ma al contempo vicinissimi all’aspetto originale del romanzo di Collodi, che nella sua prima stesura era davvero un oggetto perturbante. Le interpretazioni degli attori (fra cui spicca, proprio per il dialogo a distanza con il suo Pinocchio quella di Benigni) sono ottime e costruiscono l’immagine di un mondo fantastico ma non pacificato. La morale della storia è qui più che mai importante e centrale: solo riconoscendo le sue colpe Pinocchio potrà ricongiungersi al padre e diventare, finalmente, un bambino vero. Il film di Garrone lavora con decisione in questo senso e si inserisce in una ricerca che il regista sembra consapevolmente portare avanti da tempo.
Le immagini di Pinocchio si ricollegano con forza anche a un testo mai abbastanza ricordato di Giorgio Manganelli, che ha dedicato proprio al libro di Collodi una delle sue opere più importanti. Manganelli analizza al microscopio e fa quasi l’autopsia del romanzo, ragionando sulla sua pervasività culturale e sulla sua struttura, oltre che sui motivi profondi che ne hanno decretato il valore di cult. Dice l’autore che un romanzo non è mai compiuto del tutto ed è costitutivamente abitato da dei vuoti che lo aprono a nuove letture e significazioni. In questi vuoti non è soltanto il lettore a installarsi (con i suoi ragionamenti o le sue supposizioni), ma anche altri autori che – in qualche modo tradendo il dettato originale del testo – lo riscriveranno e lo rivedranno secondo la propria prospettiva. È così che agisce Garrone, dimostrandosi al contempo un grande conoscitore del lavoro di Collodi. Il suo film ne restituisce pienamente le atmosfere a tratti da incubo, ma non si limita a essere un omaggio; Pinocchio, insomma, è anche e prima di tutto un film di Matteo Garrone, che si inserisce con grande coerenza in un progetto autoriale immediatamente riconoscibile.