Asia Bibi e altri martiri pakistani
Aasiya Bibi, Asia Bibi, come si scrive comunemente dovrà anche essere uccisa. Pakistana, accusata ingiustamente da alcune donne di aver contaminato - lei cristiana - una brocca per attingere acqua col solo fatto di averla toccata; riaccusata di blasfemia per aver nominato il profeta nel corso del contrasto con le accusatrici; picchiata dalle guardie chiamate dalle medesime; chiusa in una specie di canile e stuprata in attesa di giudizio; finalmente arrestata con tutti i crismi; condannata senza attenuanti; detenuta dal 2009 in condizioni igienico-sanitarie terribili secondo il portavoce della delegazione della Masihi Foundation che l’ha visitata in carcere; capace ancora di perdonare i suoi persecutori, ha visto confermata la condanna a morte dall’alta corte di Lahore i 16 ottobre.
Non sarebbe la prima a perdere la vita per questa faccenda. Il governatore del Punjab Salmaan Taseer, impegnato nella revisione della legge sulla blasfemia, che aveva visitato Asia in carcere, è stato ucciso nel gennaio 2011 nella capitale del Pakistan, Islamabad, da una delle sue guardie. Shahbaz Taseer, il figlio, è stato rapito per ottenere la liberazione dell’assassino del padre. Shahbaz Batti, ministro pakistano per le Minoranze religiose, cristiano cattolico, è stato assassinato da estremisti islamici.
L'11 novembre 2010 Antonio Socci denuncia l’indifferenza delle istituzioni mondiali rispetto al caso di questa martire. Tre giorni dopo il direttore di Asia News Bernardo Cervellera lancia una raccolta di firme per salvare la vita di Asia Bibi. Una settimana dopo - il 18 novembre - papa Benedetto XVI ne chiede la liberazione.
La Commissione pakistana sulla condizione delle donne, costituita all’inizio del secolo per rimuovere le discriminazioni di genere, “ha condannato la decisione del tribunale sulla base degli articoli 295-B e C del Codice penale pachistano e ha ribadito come sia illegittimo richiedere a una donna cristiana di aderire ai principi dell’Islam” (Marco Tosatti su La Stampa e Wikipedia).
A seguito dell’assassinio di Osama Bin Laden (1 maggio 2011), la donna riceve ripetute minacce di morte da parte degli integralisti islamici, al punto che le misure di sicurezza del carcere vengono rinforzate. Nessuno Stato è contento di vedersi scippare una condanna a morte da una banda di esaltati suoi sostenitori.
Adesso si aspetta l’esito del ricorso alla Corte Suprema. Si spera che sia composta da veri musulmani, perché quelli che hanno condotto le danze fino ad oggi, ovviamente, non lo sono.