Ora è anche un libro

«Ragazzi, non siete speciali» Il video virale del prof americano

«Ragazzi, non siete speciali» Il video virale del prof americano
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David McCollough Jr., professore di letteratura inglese alla Wellesley High School di Boston, nel Massachussets, ha tenuto il 1 giugno 2012 un discorso di consegna dei diplomi che, in breve, cerca di svellere dalla testa dei ragazzi (e dei genitori) l’idea che siano speciali, così speciali da dover essere travolti da una valanga di cure, premure e via dicendo. Il discorso è stato ripreso e il video su Youtube (che riportiamo, con sottotitoli in italiano) è diventato subito virale, visualizzato da 2 milioni di utenti – o 2 milioni di volte, se preferite. Adesso è pure un libro, stampato in Italia da Garzanti (Ragazzi, non siete speciali! E altre verità che non sappiamo più dire ai nostri figli, € 15, traduzione di Roberto Merlini).

Il discorso del prof. McCollough mette in luce una questione che raramente si affronta in pubblico e che dispiega un’onestà, anche intellettuale, profondamente salutare. Nessun liceale, o universitario, nessun ragazzo insomma, è speciale in sé e per sé, non lo è, cioè, individualmente. Non è speciale nemmeno se vince trofei e prende ottimi voti, figuriamoci poi se sono speciali gli studenti teoricamente brillanti ma praticamente scansafatiche che potrebbero andare lontano, se solo volessero. Appunto. C’è un rischio vero, nell’autoesaltazione di se stessi e in quella riversata dai genitori sui propri figli, un rischio che punta nella direzione dell’annichilimento delle proprie potenzialità, che si lasciano così, inerti, perché tanto si è già speciali, si è già “arrivati”. Il semplice motivo per cui, invece, non lo si è affatto, è che tutti lo sono, ergo l’attributo perde in distintività. Ciò che invece rimane distintivo è l’uso che si sceglie di fare della propria vita: o la si vive (remando e remando, diceva la poetessa), oppure no e si sta conficcati in un punto. Speciale, per carità: ma pur sempre immobile.

Urge poi alla lettura, a leggere, leggere e ancora leggere - per tirare l'acqua al suo mulino, si potrebbe pensare. Forse. Però è vero che a leggere (veramente) si ampliano i propri orizzonti, si imparano cose nuove, ma su di sé, sull'uomo, cose diverse da quelle che si insegnano a scuola. A leggere si potrebbe persino imparare a dire che la metà di otto non è quattro (l'esempio è del professore ed è nel suo libro), senza passare per matti, ma anzi dando prova della propria creatività: perché la metà di otto è anche zero (la metà superiore, o quella inferiore, del numero in cifra araba), è anche tre (la metà destra), è anche una E (metà sinistra)...e chi ha più idee, più ne metta. Il solito precisino potrebbe a questo punto obiettare: "sì, ma la risposta giusta resta quattro, la metà di otto è quattro". Sia concesso. Ma fermarsi alle risposte giuste non vi sembra troppo normale?

 

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