Questo è meglio non dirlo al capo le frasi da evitare al lavoro
Ci sono frasi che è meglio non dire sul posto di lavoro, soprattutto al proprio capo. Non perché siano maleducate o scorrette, ma perché tradiscono insicurezze e malevoglie che esulano dal campo della professionalità. Il sito Business Insider ha riportato i consigli dei career coach Ryan Kahn e Lynn Taylor.
1. Innanzitutto: evitare di attaccare discorso con una negazione, del tipo «non posso», «non lo so». Queste espressioni denotano mancanza di fiducia in se stessi e riluttanza ad assumersi responsabilità nuove, che escono dalla routine lavorativa. Se proprio non si ha idea di dove andare a parare, si dovrebbe essere sempre propositivi, avanzare soluzioni, tentare. I rifiuti non motivati sono del tutto inutili e non fanno altro che indispettire capo e colleghi. Al “no”, insomma, deve seguire una motivazione valida. Categoricamente vietato dire: «questo è impossibile», oppure «non ho una soluzione».
2. «Non è la mia area di competenza», o «non fa parte del mio lavoro». Flessibilità e multidisciplinarietà sono fondamentali oggigiorno e ritagliarsi uno spazio esclusivo di competenza, trincerandovisi dentro, è controproducente per l’azienda e per stessi. Fondamentale è anche il gioco di squadra, la collaborazione con settori diversi: mai chiedersi, ad esempio, come si possa trarre beneficio da una situazione che vede coinvolte più persone. Sul posto di lavoro l’unica cosa che conta è il beneficio dell’azienda, quindi del gruppo.
3. «Proverò». L’uso del tempo futuro rilancia in una dimensione vaga e indefinita qualcosa che invece va fatta subito e senza tentennamenti. Suona un po’ come una promessa da marinaio alle orecchie del capo, che dunque cercherà di affidare il compito a qualcun altro. Specularmente, non bisogna mai cercare di giustificarsi dicendo «ho fatto del mio meglio». Oltre ad essere una sgradevole autodifesa, fa risaltare il fatto che non si è stati all’altezza delle aspettative.
4. Evitare, in generale, le scuse del tipo «mi dispiace, ma...». L’avversativa “ma” fa perdere autenticità alla contrizione. Si consiglia di riformulare così: «mi dispiace…. farò più attenzione la prossima volta». Da evitare anche «ho solo pensato che….» e, il peggio del peggio, «nel mio precedente posto di lavoro facevamo in questo modo».
5. «Me ne vado». «Prego, fai pure» è la risposta più probabile e che potrebbe non piacervi.
6. «Ci ho provato prima»: nulla vieta che ci proviate ancora. La pigrizia è un vizio che va debellato, quando si lavora.
7. «Non posso lavorare con lui/lei», «È un idiota», «Perché lo fa sempre X…?», «Perché lui ha X e io no?», «non è davvero colpa mia, è colpa di…». Scenate di gelosia e/o di insofferenza nei confronti dei colleghi, a cui si aggiungono esternazioni da scaricabarile sono da bandire, perché creano un clima di insofferenza generale.
8. «Il tuo predecessore lo faceva in modo diverso/meglio». Come a dire che il nuovo capo è un incapace. Magari è vero, ma è sempre il capo. È una sfida all’autorità chiedere anche «posso parlare con il tuo superiore di questa cosa?». A meno che non si stia meditando di lasciare l’azienda, è meglio non saltare troppo gradini nella scala gerarchica.
9. «Mi annoio». Cose che capitano, mica bisogna dirlo. Una variante è: «posso uscire prima visto che oggi le cose vanno a rilento?». D’accordo l’uscita anticipata, ma la motivazione non regge. Se le cose vanno a rilento non c’è che da velocizzarle.
10. «Se non ti sento, farò solo questo». Perché limitarsi? Anche in assenza del capo si deve lavorare bene e prendere l’iniziativa può produrre i suoi benefici effetti: un complimento, una stretta di mano, magari una promozione.
11. «Sono abbastanza occupato. Può aspettare?». No, ovviamente. Anche in questo la risposta la sappiamo già, allora perché indispettire inutilmente il capo?