SI CHIUDE UN'EPOCA. LASCIA ANCHE IL FIGLIO.

Moratti, addio alla sua amata Inter

Moratti, addio alla sua amata Inter
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E poi un giorno ti guardano dall'alto in basso. Un tempo eri il sovrano di un impero dipinto di nerazzurro, adesso sei solo il presidente onorario. Quando gli hanno chiesto cosa pensasse di Mazzarri e degli ultimi risultati dell'Inter, Massimo Moratti, in uno slancio di passione, ha risposto: «Beh, se non migliora sono guai. Ma non sono un buon esempio: io di allenatori ne ho esonerati tanti». Mazzarri ha fatto spallucce, ingoiato un po' di fiato e replicato: «Non perdo energie per rispondergli». Così, come il fumo di una delle sue immancabili sigarette, Moratti si dissolve e lascia la sua cara, vecchia Inter. Non ricoprirà più nemmeno il ruolo che la nuova proprietà gli aveva offerto a novembre di un anno fa. Insieme a lui lasciano: il figlio Angelomario, Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto, tutti membri del CdA nerazzurro. L'ex proprietario dell'Inter, che detiene una quota minuto della società, non ha gradito nemmeno le parole del Ceo Bolingbroke durante l'assemblea dei soci di qualche giorno fa. A margine della registrazione del bilancio 2013/2014, che ha evidenziato una differenza tra costi e ricavi di 100 milioni di euro, l'ad nerazzurro aveva dichiarato: «Vogliamo raddrizzare ciò che è andato storto in passato. Quello che è stato è stato, ora pensiamo al futuro».

E così finisce un'era lunga diciotto anni. Moratti era arrivato nel febbraio del 1995. Aveva rilevato il club da Ernesto Pellegrini, e lo aveva fatto in nome del padre Angelo, che con l'Inter aveva vinto tutte le coppe e anche gli scudetti. Alla presidenza, Moratti non basa a spese. Si innamora di funamboli con gli occhi a mandorla, giocolieri del gol, acrobati del passaggio, bidoni della giocata. Spende e spande, e comunque fa sognare. Il primo acquisto è Javier Zanetti, un ragazzino pettinato come negli anni Cinquanta, con i polmoni grandi e la dinamite nei polpacci. Anni più tardi diventerà capitano. Moratti porta a Milano anche Ronaldo, il fenomeno, che il presidente aspetterà sempre, anche dopo gli infortuni. Per conquistare un trofeo gli ci vogliono tre anni. A Parigi, nella finale contro la Lazio, l'Inter conquista la Coppa Uefa. Cambia allenatori, sì: mai a cuor leggero. Lippi, Mancini, e poi Mourinho. Con il tecnico portoghese, la pazza Inter diventa anche vincente. Nel 2010 il club nerazzurro vince scudetto, Champions e Coppa Italia in una sola stagione. Apoteosi.

E' quello il climax morattiano: un inno al successo, prima di cedere alla malinconia. Dopo è stato tutto un rincorrere le possibilità di un nuovo inizio. Un'altra storia, ancora vincente. Finché un giorno è arrivato Thoihr che si è preso (quasi) tutto. Lunedì scorso, all'assemblea dei soci, Moratti si era seduto tra la piccola folla, in silenzio, non più il Numero Uno, solo uno dei tanti. Troppo per uno che l'Inter non la considera un'azienda, la crede una figlia da viziare. Ora che ha lasciato anche l'ultima carica, Moratti chiude definitivamente con il passato. Thohir (che si è detto "stupito" della scelta) adesso è solo, con un bilancio in forte passivo, con la necessità di trovare un nuovo azionista di minoranza, e con la complicazione del Fair Play finanziario imposto dall'Uefa. Con questo bilancio, infatti, l'Inter rischia di non potersi iscrivere alle coppe 2015/2016.

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