In treno. Tutto urlato, esibito

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In genere non rimpiango niente. Non ne sono capace, guardare indietro mi dà un senso di tristezza, di inutilità ed è forse per questo che evito di frugare tra le vecchie fotografie. Forse un giorno lo farò, non ora. Invece andare in treno oltre che per soddisfare una necessità mi piace e talvolta scelgo di sedermi al contrario rispetto alla direzione del treno: sento così l’ebbrezza di ciò che in modo quasi insensibile passa e si apre fatalmente al mutamento. In questa dimensione che abita a metà tra cinismo d’uomo contemporaneo e vaghezza letteraria galleggia uno stato d’animo che deve fare i conti con le cose di oggi, quelle che ci circondano fatte di contraddizioni e spesso incomprensibili perché talvolta prive di senso.

Sono in treno, frecciarossa, comodamente seduto: non c’è che dire. Adesso mi godo un buon libro, dico fra me e me, e infatti ne tiro fuori uno, l’ultimo che ho comprato sfidando gli sguardi allarmati di mia moglie alle prese con spazi che vanno assottigliandosi. Una dopo l’altra squillano le trombe di Gerico infilate a mia insaputa dentro ogni smartphone, facendomi trasalire. E non basta: voci baritonali, tonanti e acute come un si bemolle paganiniano invadono lo spazio e lo fanno riempiendolo di questioni che francamente non mi interessano affatto. Eppure nell’epoca del protagonismo a briglia sciolta tutti in qualche modo gareggiano  per esibire in pubblico cose che un tempo erano ritenute riservate e personali, chissà forse in cerca di un qualche applauso come in certi insulsi talkshow.

Ho ascoltato  di amori infranti, tubi rotti, cause vinte e andate male, bimbi da portare all’asilo e nonne da accompagnare dal medico: tutto urlato, strombazzato ed esibito coram populo come in certe ricostruzioni dei bassi napoletani raccontati nelle commedie di Eduardo. Solo che qui siamo su un treno ‘di lusso’, siamo addirittura in prima classe e i protagonisti sono persone probabilmente con una qualche istruzione, con un titolo di studio che però non ha garantito affatto l’apprendimento degli elementi della buona educazione. D’altronde una scuola che al massimo informa senza formare non poteva che dare risultati simili. Chiedere con sommessa discrezione di abbassare la voce sembra addirittura un’onta. Ti guardano strizzando gli occhietti come a dire: ma questo che vuole, che va dicendo? È vero mammina e papino nella società easy non vi hanno mai sgridato o detto questo si fa e quell’altro invece no. E adesso arriva l’attempato signore di turno  e intende por limite alle vostre performance... ma che mondo.

È vero, proprio un bel mondo: perché l’identico cafonstyle dilaga perfino negli annunci che dovrebbero invitare "ad abbassare il tono della voce e la suoneria dei cellulari" il cui volume è per l’occasione comicamente alzato al massimo: roba da barzellette per intrattenitori e boccone prelibato per un grande osservatore come Carlo Verdone.

Ripongo il libro, non c’è speranza e mi rendo conto che la mia improvvida scelta della cosiddetta "area silenzio" significa soltanto che a starmene  zitto devo essere io perché l’italiota medio ritiene cosa indispensabile sbraitare e se non lo fa si sente piccino, sminuito e  inferiore come tanti ragazzini degli anni che furono spesso intenti a certificare certe intime misure. Chiudo le palpebre, spero che il pietoso Morfeo mi culli un po’, ma "sleeeeeng": un arpeggio selvaggio squarcia l’aria. Dal display che macina una dopo l’altra pubblicità e promozioni varie, dopo aver chiesto di abbassare ai "gentili clienti" la voce, sbuca uno stridore gradevole quanto lo strusciare di un pezzo di vetro sulla lavagna. I creativi non hanno limiti, specie quando ci fanno sapere che al bar si possono acquistare non motozappe o spazzolini da denti, bensì panini e bevande calde e fredde: per dire questo c’è chi viene remunerato molto bene!...

Intanto il treno porta sempre il suo tradizionale ritardo: ci scusiamo per il disagio.

L’annuncio stavolta è formato formuletta di cortesia, di quelle preregistrate che fanno presagire come il cuore di trenitalia stia sanguinando. Purtroppo la forma ha divorato la sostanza delle cose. E questo mi sorprendo a rimpiangerlo. Amaramente.

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