I «figli della recessione», ovvero I bambini poveri nei Paesi ricchi
In questi anni di crisi economica, si è parlato molto di numerose categorie sociali che sono state colpite con particolare durezza: dai tanti che da un giorno all’altro hanno perso il lavoro ai giovani che fanno fatica ad ottenere un’assunzione, alle imprese, ai governi di Paesi messi in ginocchio, e via dicendo. Forse comprensibilmente, ma raramente si è sentito parlare di chi questa crisi non può fare altro che subirla inerme: i bambini, i cosiddetti “figli della recessione”.
I bambini poveri dei Paesi ricchi (innanzitutto in Italia). La Ong dedicata ai minori ha reso pubblico un rapporto (l’Innocenti Report Card), che analizza il cambiamento del tenore di vita dei bambini nei Paesi occidentali (non si parla quindi di terzo mondo) durante questi anni di crisi economica. E fra gli Stati che presentano i dati più preoccupanti c’è anche l’Italia.
Complessivamente, ad oggi, nei Paesi ricchi ci sono 76 milioni di minori che vivono in condizione di povertà, ben 2 milioni e 600 mila in più rispetto al 2008, anno dello scoppio definitivo della crisi. In Italia, nello specifico, in questi sei anni i bambini che vivono sotto la soglia di povertà sono aumentati del 6 percento (600mila in più), portando il computo totale al 30,4 percento: questo significa che un minore su 3 si trova oggi in queste condizioni, quando, a livello mondiale e comprensivo quindi anche delle zone più povere del mondo, la media è di 1 su 5. Alzando leggermente l’asticella dell’età, dal rapporto si evince come in Italia i Neet (ragazzi fra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano, e non seguono corsi di formazione) hanno toccato quota un milione (il 22,2 percento), risultando il numero più elevato di tutta l’Unione Europea. In termini di reddito, gli italiani è come se avessero perso gli incrementi ottenuti dal 2000 in poi; e chi ne subisce gravi conseguenze è, ovviamente, la categoria dei più giovani.
Qualche altro esempio: Grecia e Usa. Una delle situazioni peggiori, fra i 41 Paesi analizzati, è senza dubbio quella della Grecia: il 21,3 percento dei bambini ha avuto almeno un genitore che ha perso, e non ha più ritrovato, il posto di lavoro, l’8,2 percento ha dovuto cambiare abitazione, mentre addirittura il 5,4 percento non vive in una famiglia che ha la possibilità di comprare cibo; il reddito medio famigliare, dalle parti di Atene, è tornato ai livelli del 1998.
Per quanto riguarda invece gli Stati Uniti, il Paese da cui tutto ha avuto inizio, circa un terzo dei minori divenuti poveri negli Stati occidentali in seguito alla crisi risiede proprio oltreoceano: la percentuale, fra il 2006 e il 2011, è aumentata di circa il 30 percento. Complessivamente, negli Stati Uniti, 24,2 milioni di bambini vivevano in condizioni di povertà nel 2012, 1,7 milioni in più rispetto al 2008. Mentre fra il 2006 e il 2013, la percentuale di minori che sa cosa significhi non avere denaro a sufficienza per acquistare cibo è raddoppiata, passando dal 10 al 20 percento.
Alcune buone notizie. In realtà, non ovunque si è verificato questo profondo impoverimento della popolazione, specie di quella minorile: in alcuni Paesi, come Australia, Cile, Finlandia, Norvegia o Polonia, il tasso di persone che vivono sotto la soglia di povertà è addirittura diminuito negli anni della crisi; la Slovacchia ha ridotto i livelli di povertà infantile perfino del 30 percento.