Una ricerca dell'Università di Oxford

La tecnologia ruba il lavoro più della crisi economica

La tecnologia ruba il lavoro più della crisi economica
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Più che la crisi economica, sono i benefici effetti della tecnologia a costituire il rivale più temibile per il mondo del lavoro. Questa è sostanzialmente la conclusione a cui sono giunti Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, della Oxford University. I ricercatori hanno condotto uno studio sulle conseguenze della rivoluzione tecnologica e sono giunti a conclusioni degne di essere prese in seria considerazione. Il breve saggio scritto a quattro mani, The Future of Employment: how susceptible are jobs to computerisation? spiega con chiarezza e sinteticità le fasi della ricerca e mette in campo esempi, dati e grafici che illustrano le argomentazioni via via sostenute dai due studiosi.

Il rischio che la tecnologia possa sostituire il lavoro umano non è solo un tema caldo del XXI secolo. Già al tempo della Rivoluzione industriale, i luddisti temevano che i telai meccanizzati avrebbero del tutto sostituito gli operai del tessile e diedero luogo ad accese manifestazioni, tra il 1811 e il 1816. Ma è nel nostro secolo che la tecnologia è diventata così sofisticata e “intelligente” da costituire, paradossalmente, un potenziale ostacolo al benessere delle società. Frey e Osborne hanno selezionato 702 occupazioni e li hanno ripartite a seconda del loro rischio di computerizzazione (alto, medio e basso). Sono giunti alla conclusione che  il 47 percento dei lavori si trova nella categoria ad alto rischio. Essa include la maggior parte dei lavoratori impiegati nel settore dei trasporti e della logistica, nell’apparato amministrativo e burocratico.

 

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La sostituzione del lavoro umano da parte di un robot presenta vantaggi consistenti per imprenditori e datori di lavoro. La macchina garantisce una precisione infallibile, costi bassissimi (solo quelli di mantenimento e di manutenzione) e, in più, non prevede periodi di ferie o malattie pagate. Inoltre, garantiscono un’assoluta imparzialità. È stato dimostrato, ad esempio, che i giudici israeliani emettono sentenze più clementi dopo il pranzo. La digestione e il piacere del cibo sono invece assolutamente ininfluenti su un algoritmo. Alcune aziende sono già passate alle vie di fatto. La spagnola El Dulze usa robot per raccogliere cespi di insalata e per scartare quelli che non sono all’altezza degli standard. In Cina, i datori di lavoro sono propensi a sostituire i loro lavoratori con sistemi tecnologizzati, perché stanno aumentando i costi del lavoro e della vita.

Già nel 2013 gli economisti David Autore e David Dorn avevano rilevato un aumento nell’adozione di sostituti computerizzati per mansioni non specializzate e ripetitive. Di questo aspetto si è interessato anche il Financial Times, che ha messo in luce delle realtà interessanti. Daniel Nadler ha creato una start up finanziata in parte con i soldi di Google, chiamato Warren, in onore del re degli investitori Warren Buffett. Esso sostituisce il cervello umano nella raccolta dei dati finanziari, nell’inserimento nel computer, e nelle previsione degli andamenti della Borsa. In Giappone, invece, stanno costruendo un robot per fargli sostenere e passare l’esame per l’ammissione all’università.

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Se lo scenario finora descritto sembra apocalittico, c’è un lato della questione che potrebbe, in parte, rifondere un po’ di fiducia. Frey e Osborne, infatti, hanno sottolineato che la tecnologia non potrà sostituire l’uomo nelle mansioni che prevedono l’interazione con gli altri e l’uso della creatività. “I processi psicologici coinvolti nella creatività umana sono difficili da definire”, scrivono, perché prevedono “combinazioni nuove di idee già note (unfamiliar combinations of familiar ideas)”. La creatività non può essere codificata e inserita in un computer, anche perché i suoi prodotti sono estremamente diversificabili e variabili nel tempo, giacché dipendono da valori culturali e gusti estetici. Lavoratori sociali, come badanti e spazzini, parrucchieri e scrittori (in barba a tanti luoghi comuni) sono i lavori più resistenti all’infiltrazione tecnologica. Molto probabilmente saranno i lavori del futuro, quelli ancora svolti da mente e mani d’uomo.

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