Celinia e Anna Bianca, le due suore della buonanotte
Hanno 93 e 74 anni e ogni sera, alle otto precise, salgono i tre piani della Clinica Palazzolo ed entrano nelle camere dei pazienti, dove la porta è aperta.
di Paolo Aresi
Ci sono due donne che ogni sera alle otto salgono i tre piani della clinica Palazzolo, camminano nei corridoi, entrano nelle camere: vanno a dare la buonanotte a tutti i malati. Sono due suore, si chiamano Celinia e Anna Bianca. «Tutte le sere saliamo, stiamo in giro fra le otto e le nove e un quarto e quando torniamo nella nostra casa, a poche decine di metri dalla clinica, siamo contente. Entriamo in tutte le camere, ma soltanto dove la porta non è chiusa, però accade di rado che le porte siano chiuse. Entriamo, salutiamo, semplicemente chiediamo: “Come sta questa sera?” e poi vediamo come la persona ricoverata risponde. Con qualcuno basta un saluto, con altri si fanno delle vere chiacchierate».
Suor Celinia e suor Anna Bianca fanno parte della congregazione delle Suore delle Poverelle, voluta da don Luigi Palazzolo e Maria Teresa Gabrieli a fine Ottocento. Don Luigi era un prete santo che aiutava poveri e orfani della città; apparteneva a una delle famiglie più facoltose di Bergamo, di cui rimase unico erede, spese tutto quel patrimonio per le persone bisognose realizzando luoghi di accoglienza, scuole, asili. Un ospedale. Fino ai primi anni Settanta del Novecento, le suore delle Poverelle erano così numerose che distinguerle per nome era difficile.
Suor Celinia è una suora tascabile: è alta un metro e quaranta e ha 93 anni. Ed è pimpante, persino scattante. Spiega: «Quando io sono entrata in convento e sono diventata suora era il 1950 e c’erano già una suor Celina e una suor Celilia. Allora mi han chiamata con la “n”, suor Celinia. E poi le cose sono ancora “peggiorate” e allora i nostri responsabili hanno deciso di dare a ogni nuova suora un doppio nome». È il caso di suor Anna Bianca. «Io sono entrata in convento nel 1966, appena maggiorenne. Volevo entrare già a diciotto anni, ma i miei genitori non erano d’accordo e mi negarono il permesso. Allora si diventava maggiorenni a ventuno anni. Appena li compii, mi presentai alle Suore delle Poverelle. Io volevo diventare suora perché sentivo che Dio mi voleva bene ed era un modo per mettermi al suo servizio. A quel tempo – oggi sembra persino strano – tante ragazze diventavano suore contro la volontà della famiglia. Era una vocazione forte. Ricordo una mia amica che addirittura le prese dalla sorella maggiore, del tutto contraria…».
Suor Celinia ha passato la vita nelle scuole materne, ha girato tutta la provincia, dalla Val di Scalve ad Almenno San Bartolomeo. Suor Anna Bianca ha trascorso trent’anni a Vicenza, poi è tornata a Bergamo, nella casa madre. Ma com’è che sono diventate le suore della buonanotte? Rispondono: «È successo che una nostra consorella era stata operata di un tumore al cervello ed era ricoverata qui da noi per la riabilitazione. Andavamo tutte le sere a salutarla. Poi è stato naturale conoscere altri malati, magari nelle camere vicine. E così una stanza tira l’altra abbiamo completato tutto il piano e allora ci siamo dette che forse potevamo andare da tutti i malati. E abbiamo cominciato». Le suore sorridono. Spiegano che ogni sera i malati li aspettano e che quando, di rado, la visita salta, qualcuno le rimprovera. «Ci sono pazienti che ti raccontano la loro vita, altri che scherzano. Alla fine, ci regalano sempre serenità. Una cosa che ci colpisce è la capacità che molti hanno di sopportare una situazione difficile. Non andiamo mai a fare prediche, piuttosto ad ascoltare. E quando salutiamo diciamo sempre che diremo una preghiera anche per loro. Noi sentiamo che c’è il Signore nella loro vita. Come posso dire? Il fatto è che nella sofferenza cessa la finzione, ci si toglie le maschere. Nella sofferenza c’è verità».
Tanti malati, tante persone. Dice suor Celinia: «Una volta eravamo da un malato e mi distrassi con la televisione. Lui mi disse: “Ma suora, lei è qui per me o per guardare la televisione? O forse le è apparsa la Madonna?”. Si mise a ridere, però intanto me l’ha fatto notare…». Tante persone, sensibilità, storie. Dice suor Anna Bianca: «In questo periodo mi colpisce un uomo che avrà settant’anni, è qui da noi da sei mesi, sempre a letto, non può muoversi. Ma è sereno e ogni sera ci racconta i suoi minuscoli progressi e ci dice che ce la farà. Io resto lì e sorrido e un senso di gioia mi prende. Allora capisce perché noi andiamo a fare le visite, ma siamo noi a dire grazie agli ammalati?».