Michele Serra: «“L’amaca” è nata da un’idea di Walter Veltroni»
Sabato 1 febbraio l'autore porta in città il monologo dedicato al fortunato corsivo. In 27 anni «è rimasta immutata la cura della forma. L’attenzione per la parola, il tempo impiegato a rileggere, riscrivere, limare gli aggettivi»
di Fabio Cuminetti
Le parole, con le loro seduzioni e le loro trappole, protagoniste di un monologo teatrale comico e sentimentale, impudico e coinvolgente. Stasera, sabato 1° febbraio, Michele Serra apre allo spettatore del Creberg Teatro la sua bottega di scrittura con “L’amaca di domani”. Rispondendo alle seguenti domande: scrivere ogni giorno, per 27 anni, la propria opinione sul giornale è una forma di potere o una condanna? Un esercizio di stile o uno sfoggio maniacale? Bisogna invidiare le bestie, che per esistere non sono condannate a parlare? Sul palco le persone e le cose trattate nel corso degli anni riemergono con intatta vitalità e qualche sorpresa. Dipanando la matassa della scrittura, l’autore fornisce anche traccia delle proprie debolezze e manie.
Com’è nata l'Amaca? Di cosa ha parlato, la prima volta?
«L’idea fu di Walter Veltroni che era direttore dell’Unità. L’anno era il 1992. Mi chiese di scrivere una breve nota quotidiana in prima pagina, affiancata da una vignetta di Elle Kappa. Fui così incosciente da accettare. Prima di me il corsivo in prima pagina lo scriveva Fortebraccio, un gigante. Per mesi mi sono chiesto se ero all’altezza, poi per fortuna non ci ho pensato più. Quanto all’argomento della prima Amaca, non me lo ricordo. Sicuramente sarà stata la politica…»...