aperto dal 1970

Giuseppe Moioli di Albino, il mezzo secolo di uno scarpulì (anzi, di più)

Il negozio si trova in via Vittorio Veneto 7, in zona Rissöl. «Ho iniziato a 11 anni, pratico questa attività da 63-64 anni. E vado avanti. Oggi i calzolai sono sempre meno, ma i clienti ci sono. Riparo di tutto: calzature, borse, pelletteria»

Giuseppe Moioli di Albino, il mezzo secolo di uno scarpulì (anzi, di più)
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di Fabio Gualandris

Era il capodanno del 1970 quando Giuseppe Moioli prendeva le redini dello storico negozio di calzolaio di via Vittorio Veneto 7, strada del centro storico di Albino nota come “Rissöl”. Nel dirigerci verso il negozio, all’imbocco di via Vittorio Veneto, notiamo una targa con una breve nota storica che inquadra il luogo, il “Rissöl”: «Via che risale dalla strada di Bergamo alla piazza della chiesa parrocchiale. Il nome deriva da réss o riss, termine bergamasco che indica una pavimentazione di ciottoli di fiume. Era conosciuta anticamente come via de Tuvo o contrada Tuffi dal tipo di roccia porosa e leggera che esiste nel sottosuolo di quella zona, ampiamente impiegata nelle volte delle case antiche. All’attuale civico 25 c’era l’abitazione di Gian Luigi Seradobati, notaio di fiducia della famiglia di Giovan Battista Moroni che dipinse il suo ritratto, oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze». Ci viene spontaneo accostare la pavimentazione della strada il sottosuolo e il suolo, di cui parla la targa, alle suole che lo calpestano e all’incontro con il calzolaio, artigiano che realizza e ripara calzature, dà loro forma e sostanza come quella roccia porosa e leggera che garantisce respiro.

Varchiamo così la soglia del civico 7 e incontriamo Giuseppe tra le mura del suo negozio-laboratorio e ci immergiamo in un contesto fatto di calzature e attrezzi che rimandano a un’arte antica. È martedì 14 gennaio, data importante per il nostro artigiano, che ebbe i natali proprio in questo giorno di settantotto anni fa.

Si presenti ai nostri lettori.
«Mi chiamo Giuseppe Moioli e sono nato ad Albino il 14 gennaio 1942. Sono sposato e abbiamo tre figli e un nipotino».

Ci racconti degli inizi di questa sua attività.
«Ho iniziato quando avevo 11 anni e, tranne il periodo del militare, ho sempre praticato questa attività, quindi per 63-64 anni. Nei primi sei anni ho lavorato da Carrara Calzature in via Mazzini. A quei tempi d’estate non c’erano campi estivi, giochi e vacanze come le concepiamo noi ora, ti mandavano a lavorare e non prendevi niente. Era come un apprendistato durante il quale dovevi imparare a “rubare” un mestiere: era così, nessuno insegnava, ero io che dovevo imparare; e valeva per tutti: falegnami, fabbri, calzolai...».

Quali sono le prime cose che ha imparato?
«Con l’uso di un sasso ho imparato a preparare gli spaghi da utilizzati per cucire a mano le calzature, ho appreso anche a raddrizzare i chiodi degli imballaggi, una volta si recuperava tutto e si faceva tutto a mano, in particolare gli scarponi».

Le scarpe le realizzavate tutte voi?
«Gli scarponi sì, altri tipi di calzature, già dagli anni Sessanta, erano in gran parte realizzate a livello industriale».

Com’è stato il percorso che l’ha portata a mettersi in proprio?
«Dopo quella prima esperienza giovanile ho sempre continuato il lavoro di “scarpulì”, avevo il laboratorio nella mia vecchia casa natale, in via Carotti, ma lavoravo, a chiamata, anche fuori. Purtroppo i guadagni erano bassi e nessuno mi metteva “a libri”. Maturavo così il sogno di avere un’attività mia, quella che svolgo tuttora. Il negozio attuale era gestito “dal Capelli”, lo conoscevo perché andavo con lui in montagna. Quando compì i 71 anni andò in pensione, si ritirò dal lavoro e mi cedette licenza e negozio, questo. Quel mio nuovo inizio fu il 1° gennaio 1970, esattamente cinquant’anni fa; qui ci lavoro e - nei piani superiori dell’edificio - ci abito».

Laboratorio sì, ma anche vendita?
«Sì, fino a sei anni fa il servizio era composto di vendita e riparazioni, avevo l’ambizione d’avere la bottega. Ora continuo l’avventura ma esclusivamente da artigiano».

Cosa fa il calzolaio?
«Il lavoro è per lo più concentrato nelle riparazioni. Oggi, con la presenza di tanto materiale sintetico, è più impegnativo realizzare bene un lavoro. Si va dalla sostituzione del soprattacco fino alla risuolatura completa in cuoio nonché, grazie alle nuove tecniche di incollaggio, la sostituzione dei fondi completi delle scarpe da trekking (scarponi da montagna) e delle calzature di tutti i giorni che hanno un fondo in gomma. I materiali che si utilizzano di più sono il cuoio, la gomma e la pelle. Per creare scarpe su misura si utilizzano forme in legno o, più recentemente, in materiale plastico».

C’è lavoro?
«I calzolai sono sempre meno ed è quasi diventata regola l’usa e getta. Ma clienti ce ne sono, sono di Albino e dei paesi vicini, ma vengono anche da Bergamo. Capita che anche qualche negozio di calzature si rivolga a me. Riparo di tutto: calzature, borse, pelletteria...».

Ha mai pensato a chiudere bottega?
«Purtroppo o per fortuna si invecchia ma, finché ci riuscirò, l’idea è di continuare: sono affezionato a questo lavoro. Ho qualche problemino alle mani in seguito a un intervento al tunnel carpale, ma è in via di risoluzione».

Malattia professionale?
«Ma no, sto diventando vecchio (ride, ndr)».

E oltre il lavoro?
«C’è la famiglia e alcune passioni come quella per i canarini, il calcio con i giovani e, fino a qualche tempo fa, il teatro dialettale».

Una curiosità?
«Avere un negozio è bello (anche se non puoi permetterti di ammalarti). Si instaurano rapporti che vanno oltre il commercio o il servizio che si svolge, che potrei chiamare di amicizia. Il luogo diventa così anche punto d’incontro e di relazione tra persone. Cito ad esempio quelle signore del ricovero che a volte passano di qua, entrano, si fermano per riposare un po’, due parole e poi riprendono la strada».

Quindi scarpe e amicizie, come disse Sarah Jessica Parker a Carrie Bradshaw in Sex and the City: «Ci sono due cose di cui non ne hai mai abbastanza. Buoni amici e buone scarpe».

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