L'Irlanda miglior paese al mondo
L'Irlanda è il miglior paese al mondo, ma non c'entrano le pittoresche scogliere dell'ovest, il placido verde della campagna o il nero elegante della Guinness più dissetante. A decretare la grandezza di Dublino sono altri indicatori, quelli utilizzati dalla “Good Country Index”, gruppo britannico che stila una classifica tra tutte le nazioni del mondo in base a quale contributo queste offrono «al bene del mondo». I parametri su cui si costruisce la classifica sono ben 35, e toccano vari ambiti: le emissioni di Co2 e la produzione di armi, i premi Nobel e l’accoglienza ai rifugiati, la libertà di stampa e le esportazioni farmaceutiche, la diffusione della droga e la libertà di commercio. I dati, offerti da strutture di prestigio internazionale come Onu e Banca Mondiale, sono stati poi radunati sotto 7 maxi gruppi: scienza e tecnologia, cultura, pace internazionale e sicurezza, ordine mondiale, pianeta e clima, prosperità ed uguaglianza, salute e benessere. E l’Irlanda è risultata sorprendentemente prima, battendo paesi come Finlandia, Svizzera e Olanda.
A Dublino quando sono usciti i risultati qualcuno ha sorriso con scetticismo: i postumi della crisi economica si toccano ancora, e per quanto l’economia della Tigre Celtica sia tornata a crescere, in pochi avrebbero scommesso un euro che l’isola dello smeraldo potesse essere scelta come miglior nazione al mondo. A dirimere la questione ci ha pensato il Financial Times: «È dura essere il numero uno», scrive il quotidiano finanziario londinese. Già 10 anni fa l’Irlanda era stata dichiarata il miglior posto dove vivere dall’Economist, ma di questi primati è facile riempirsi la bocca per poi non riuscire a farne nulla, e trovarsi a chiedersi: «Bene, e adesso?». Ne è la prova la storia recente di Dublino, che parla di crisi economica e identitaria, con tanti giovani costretti ad andarsene per cercare lavoro all’estero. «Tuttavia», continua il FT, «Queste lusinghe suggeriscono che l’Irlanda è molto di più dei bond yields e di controverse aliquote fiscali corporative».
E in effetti è così, l’Irlanda rimane un Paese ricco di opportunità, la prima nazione europea ad aver abbandonato con successo un programma di assistenza economica, con una successiva espansione del mercato del lavoro: si calcola che, se 5-6 anni fa si perdevano in media 1600 posti di lavoro alla settimana, ora se ne riguadagnano 1200 nello stesso arco di tempo. L’immagine di un luogo fresco e competitivo è offerto anche delle tassazioni favorevoli che attraggono compagnie internazionali d’ogni genere, con impiegati da tutto il mondo: se a questi si aggiungono i tanti progetti erasmus e chi sceglie Dublino per studiare l’inglese, si ha il quadro di una città che definire internazionale è poco. E chiunque ha messo piede sull’isola non può fare a meno di ricordare alcuni degli angoli più affascinanti di questo Paese, siano le Cliffs of Moher o il Ring of Kerry, il Connemara o le Giants Causeway, il centro di Dublino o le sperdute coste del Donegal.
Ma ciò che rende unica l’Irlanda è la sua gente, un popolo che fa dell’accoglienza la sua medaglia distintiva. È un particolare unico, che la differenzia ampiamente dalla vicina Inghilterra, nell’ideale collettivo più fredda. Difficile che in Irlanda una richiesta d’informazioni stradali cada nel vuoto con menefreghismo, difficile rimanere in un pub più di 5 minuti da solo, senza che un qualche avventore, di ogni età e classe sociale, s’avvicini, attacchi discorso e magari ti offri una pinta (ma attenzione alla regola: niente calcio e politica). In tanti hanno definito gli irlandesi un popolo mediterraneo, caldo quanto potrebbero essere gli italiani. Certo, sono categorie molto generiche, tendenti al luogo comune, ma una verità di fondo ce l’hanno. Tanto concreta quanto misteriosa, come l’indole di questa gente, così aperta nonostante tutti i drammi della sua storia.